Home » Quella maglia della Lazio

Con la vittoria all’Olimpico del Genoa sulla Lazio, si chiude un’altra giornata di questo campionato, che sta procedendo con moto rettilineo uniforme verso il proprio destino dalla parvenza già delineata. Saldo il primato della Juve, segnate le prime tre posizioni, probabilmente già instradate due retrocessioni su tre, mentre Inter e Milan continuano nella loro ricerca di personaggi e di autore. Le capriole della sorte sono tutte circoscritte sul materassino alloggiato tra il quarto e il sesto posto e da febbraio a tarda primavera si attendono le coppe per provare qualche brivido tonificante.

Così, possiamo per una volta anche spostare la nostra attenzione sulle suggestioni collaterali alla classifica, concedendo spazio alle malie improvvise che quei piccoli particolari estemporanei accendono nel magma dei ricordi calcistici.

La vittoria del Genoa sulla Lazio non è cosa nuova, i cronisti coevi snocciolano le statistiche elaborando l’aggiornata reportistica che illustra, volendo anche con colorati grafici a torte, come i rossoblù siano la bestia nera dei biancazzurri. Tutto documentato, a prova di database.
Chi invece volesse risalire la corrente alternata degli annali, scandagliando lo storico della sfida tra le due squadre, troverebbe un’altra vittoria del Genoa, questa volta interna, per 2-0, risalente all’ormai discretamente lontano 31 maggio 1987. Quella volta, segnarono Scanziani e Ambu (ex biancazzurro). E la Lazio, vestiva la stessa maglia di oggi. Già, quella maglia così particolare, divisa in due campi di bianco e azzurro da un’aquila stilizzata, è tornata quest’anno dopo una lunghissima assenza, come omaggio a un tempo che fu, ma anche in conseguenza di una lunga trattativa condotta dal presidente Lotito con la famiglia Casoni, presidente biancazzurro ad inizio anni ’80, a cui apparteneva lo storico design, tanto amato dai tifosi. Qualcuno la ricordava con lo sponsor della Sèleco, qualcun altro con quello della Cassa di Risparmio di Roma. Certo è, che rubava l’occhio.
Ma torniamo a quello storico 1987. La sconfitta contro il Genoa aprì ai biancazzurri una panoramica vertiginosa sull’abisso della Death Valley. Già, perché forse non tutti sanno che… avvenne nel campionato di serie B. E che in quella stagione, come coda punitiva del calcioscommesse, la Lazio era partita con una penalizzazione di 9 punti. Quando ancora per ogni vittoria, se ne guadagnavano solo due. Era una B diversa dall’attuale. Oltre alla Lazio, c’erano squadre come Cagliari, Bologna e Parma (squadra che ancora non aveva costruito il proprio blasone in serie A, e che era già sorprendente trovare in B). Mancavano solo tre giornate alla conclusione e un’eventuale retrocessione avrebbe con tutta probabilità significato il fallimento economico per la compagine biancazzurra.
Nel turno successivo, la Lazio non riuscì a penetrare la difesa del Lecce, e raccolse solo un misero punticino all’Olimpico. Nella penultima di campionato, a Pisa, ne prese tre (per le statistiche, doppietta di Piovanelli e gol di Luca Cecconi).
Il 21 maggio 1987 all’Olimpico, la Lazio giocò la partita della vita contro il Lane Rossi Vicenza. Solo una vittoria avrebbe potuto portare la Lazio agli spareggi ed evitare la retrocessione in serie C1, se non peggio. Una tensione scricchiolante elettrificava la sponda biancazzurra della capitale. Il primo tempo finì sullo 0-0. Né la ripresa pareva mettersi meglio. A sette minuti dal termine, scambio Poli – Acerbis, cross per l’avanzante stopper Gregucci, intervento ennesimo della difesa biancorossa e palla che rocambola fuori area, viene rimessa dentro e finisce tra le gambe del centravanti biancazzurro Giuliano Fiorini, una vita nelle periferie dell’area piccola. Fiorini sente lo spazio intorno a sé circoscriversi, ma trova il tempo di girarsi e prima di completare la torsione, sia mai che si materializzi l’ennesimo stinco di un difensore, anticipa la zampata in porta. E segna il goal che nessun tifoso laziale – e forse non solo – potrà mai dimenticare. Poi l’esultanza, immortalata per sempre, con quella maglia dall’aquila stilizzata, che oggi a ben vedere, ha anche qualcos’altro in più, un ricordo indelebile cucito dentro dell’attaccante a cui la vita volse le spalle a nemmeno cinquant’anni, quasi una sorta “sacra sindone” di Fiorini, povero cristo della sofferenza biancazzurra.

Nemmeno la coda della stagione fu semplice per la Lazio. Lo spareggio a tre, disputato con un triangolare allo stadio San Paolo di Napoli, con i pari classifica Campobasso e Taranto, non risparmiò momenti drammatici. Nella prima partita, il Taranto gelò la tifoseria biancazzurra andando a vincere per 1-0, gol del bomber Totò De Vitis. Nella seconda partita, Taranto e Campobasso impattarono per 1-1. Nell’ultimo e decisivo incontro, un altro storico gol, segnato stavolta da Fabio Poli, ridestò la Lazio, levando i tifosi dalla lunga apprensione di color che son sospesi, durata lunghi mesi. La stagione del -9, era finita.

Quella era la Lazio di Eugenio Fascetti, in campo Podavini e Filisetti, Camolese e Magnocavallo, Mimmo Caso e Piscedda, Poli e Fiorini.
Vennero poi gli anni di Cragnotti, le vittorie, le coppe e lo scudetto. Nesta, Boksic, Vieri, Signori, Nedved. Un’altra vita. Nuove generazioni di calciatori e di tifosi.
Ma non vi sembri stano, se ancora oggi, osservando un Lazio – Genoa di uno stanco lunedì sera feriale, il pensiero possa andare a infilarsi… nelle maglie della memoria.