Nel presentare la finale di Coppa d’Asia tra i Socceroos e la Corea del Sud, l’ex portiere di Aston Villa e Manchester United Mark Bosnich ha parlato della “partita più importante della storia del calcio australiano”. Secondo l’opinionista di Fox Sports Australia, infatti, i titoli conquistati in Oceania contavano poco, paragonati a un “major trophy” come questo: visti il coinvolgimento di pubblico, l’attenzione globale – ottenuta anche grazie alla presenza degli australiani – per l’evento e l’euforia generale dopo il 2-1 ai supplementari viene da dargli ragione, rendendo poverissimo, in confronto, il 6-0 alle Isole Salomone del 12 ottobre 2004 davanti ai 20 mila di Sydney (dopo il 5-1 dell’andata), o le immancabili affermazioni (1980, 1996, 2000 e 2004) all’atto decisivo contro i kiwis vicini di casa, così vicini e così lontani.
La Coppa d’Asia come evento ha conquistato tutti, affezionati e occasionali. In media le partite hanno fatto registrare 20 mila spettatori (circa) a partita, per un totale di 649.705 presenze. Per dare un’idea della riuscita, con le dovute proporzioni, possiamo scomodare l’edizione 2011, persa dai Socceroos in finale col Giappone: di quel trofeo in Qatar gli almanacchi ricordano 12.668 persone per match, per un totale sotto il mezzo milione. Ancora: è piaciuta la risposta di Canberra, città che attualmente non dispone di club professionistici e forse di un certo tipo di calcio aveva fame, mentre Brisbane, Sydney, Newcastle e Melbourne si sapeva non avrebbero tradito.
In tutto questo, la A-League ha detto la sua. S’è fermata (con qualche eccezione), ha “prestato” i suoi impianti multifunzionali – il nostro Antonio Cunazza ha parlato dell’ANZ Stadium, per l’occasione chiamato Stadium Australia – e si è scoperta adatta a produrre (anche) calciatori internazionali, non solo prospetti da crescere e mandare in Europa: 7 dei 23 campioni d’Asia militano nel campionato locale, tra Sydney, Melbourne, Adelaide e Brisbane, passando per quella Wellington vicina di casa e ospite agguerrita.
In particolare è piaciuto Matthew Spiranovic, che ha smentito gli scettici e gode dopo il trionfo in AFC Champions League, oltre a Matt McKay (Brisbane Roar) e Mark Milligan (Melbourne Victory), per non parlare di Tomi Jurić, l’uomo della giocata infinita, del crederci sino in fondo. Resta la sensazione di un gap evidente tra la A-League e il calcio del nostro continente, divario tecnico ma soprattutto economico: lo conferma che Tim Cahill, rescisso il contratto con New York, abbia rinviato ancora il ritorno in patria, e certo la prima traversata può essere ostica (vedi Joshua Brillante), eppure qualcosa si muove e la qualità cresce, giorno dopo giorno.
Proprio per questo, dopo che Mile Jedinak (altro australiano d’importazione, che meriterebbe una grande in Inghilterra) ha alzato la Coppa d’Asia, continueremo a seguire la A-League, a leggerne le storie e raccontarle. Storie che, giunti al quindicesimo giro di boa, raccontano dei Wanderers che tramite il mercato (e la rottura con Vitor Saba) vogliono salvare la stagione, di Brisbane che i playoff ha l’obbligo morale di trovarli, e della deriva tecnica di Newcastle (ko 7-0 ad Adelaide) e Central Coast (1-5 da Sydney).
Colpisce poi che da febbraio e novembre proprio Mariners (dai preliminari), Wanderers e Roar (già ai gironi) parteciperanno alla Champions League asiatica, complicandosi calendario e spostamenti. Proprio squadre lontane dai playoff, a confermare l’imprevedibilità delle stagioni: sbagli preparazione o mercato, coli a picco.
Con la consapevolezza però che ora l’Australia è un gigante, a di nazionali e club: si tengano forte arabi, giapponesi, cinesi e coreani.
Hyundai A-League – 15/a giornata
Adelaide United-Newcastle Jets 7-0
Central Coast Mariners-Sydney FC 1-5
Perth Glory-Melbourne Victory 3-3
Melbourne City-Western Sydney Wanderers 2-1
Brisbane Roar-Wellington Phoenix 3-2
CLASSIFICA: Perth 33, Adelaide, Melbourne Victory 29, Wellington 28, Sydney FC 22, Melbourne City 19, Brisbane 15, Central Coast Mariners 12, Newcastle 8, Western Sydney 4