Quando c’è, con la testa e con le gambe, vince sempre lei. Il sunto di questa ennesima finale vinta da Serena Williams potrebbe essere questo. I numeri, che fanno paura già da un po’, proseguono a farsi quasi inquietanti: per l’americana questo è il 19esimo Slam conquistato in 23 finali disputate, a cui vanno aggiunte i 13 titoli vinti in doppio con la sorella Venus. L’ultima delle sole quattro finali Slam perse in singolare risale al 2011, a New York contro una Stosur in stato di grazia: da allora sono sei vittorie su sei finali.
Con questo successo Serena scavalca Navratilova e Chris Evert nella classifica degli Slam conquistati ed è terza assieme alla Moody: ora c’è la Graf (22 titoli) nel mirino.
A snocciolare questi dati del palmares di Serena quasi si perde di vista quanto c’è da dire sull’incontro di oggi: dall’altra parte della rete, vittima sacrificale, c’era la n.2 del mondo Maria Sharapova alla quarta finale qui agli Australian Open. La russa dovrebbe essere, al pari di Azarenka, una delle poche in grado di dare filo da torcere alla statunitense: eppure non riesce a batterla del 2004, e in carriera ci è riuscita soltanto due volte in diciannove incontri. La russa sicuramente paga il fatto di avere un gioco basato prevalentemente sulla potenza dei colpi da fondocampo, che però si rivela sterile contro una giocatrice che di potenza può vantarne più di lei.
L’inizio della sfida non sembra promettere troppe sorprese: è Serena a comandare gli scambi e tenere in mano il pallino del gioco, e soprattutto a conquistare il primo break dell’incontro. La siberiana è contratta, patisce lo strapotere fisico dell’avversara e con affanno riesce a portarsi sino al 3-2: sul 30-30 arriva l’interruzione per pioggia, durata circa 20 minuti per permettere l’apertura del tetto sulla Rod Laver Arena. Al ritorno in campo le cose per Sharapova si mettono addirittura peggio: l’americana azzanna l’incontro e piazza l’allungo che le vale il 5-2 e la possibilità di servire per il primo set. Un calo di tensione inaspettato colpisce Serena, che perde il servizio; ma nel game successivo con facilità quasi irrisoria breakka a 0 la sua avversaria e chiude il primo parziale 6-3.
Nel secondo parziale la Sharapova riesce a tirare fuori l’orgoglio: serve con più attenzione, cerca maggiormente la traiettoria in lungolinea per sorprendere la Williams e prova a essere più aggressiva in risposta. Il risultato è un set che si gioca palmo a palmo, con la campionessa americana che però rischia poco sui suoi turni di servizio (una sola palla break concessa) e costringe invece agli straordinari la russa, che di palle break deve annullarne quattro (una sul 5-4 era anche un match-point).
Il tie-break è la degna conclusione di un set finalmente bello e combattuto: ma l’istinto della vittoria è innato in Serena, che nei punti decisivi serve in modo magistrale e mette in mostra anche una strenua difesa da fondocampo, caratteristica per lei non così usuale. Il punto con il quale si aggiudica il trofeo è emblematico: sul 6-5 l’americana scaglia un servizio vincente, ma un’impercettibile deviazione del nastro la costringe a ripetere la battuta. Per tutta risposta arriva un altro ace, questa volta pulito, che fotografa perfettamente la vittoria di un torneo pur altalenante, ma cercato e ottenuto con la tenacia di una campionessa che non finisce mai di stupire.