Sette.
Sette come i punti di distacco dalla Juventus sempre più prima in classifica. Sette come i gol presi in casa dal Bayern Monaco in quella serata di fine ottobre, che probabilmente ha minato le certezze di una squadra che giocava sull’onda dell’entusiasmo.
La Roma di Rudi Garcia è sempre stata bella da vedere: il gioco fluido proposto in campo andava di pari passo con l’entusiasmo sempre più crescente vittoria dopo vittoria, bella giocata dopo bella giocata. Così come nello scorso campionato, perso contro una squadra da 102 punti e lasciato andare solo nel finale dopo una corsa quasi alla pari durata sette-otto mesi, anche all’inizio di questo la Roma aveva dato l’impressione di essere di gran lunga la squadra con la migliore filosofia e le migliori trame di gioco. Il centrocampo, già meravigliosamente rodato e costruito intorno a Pjanić, era stato rimpolpato prima da Nainggolan a gennaio e poi da Keita a luglio, l’attacco completato dall’arrivo di Iturbe, la difesa puntellata da Manolas, Astori e Holebas. Tutto lasciava prevedere un mantenimento, se non un miglioramento, delle prestazioni offerte da quando il tecnico francese si è seduto sulla panchina giallorossa.
Non tutti, però, avevano fatto i conti con la Champions League. O meglio, li avevano fatti sul piano fisico, sulla necessità di avere una rosa forte per permettere un discreto turnover. E così è stata programmata la stagione. Finché all’Olimpico è arrivata l’armata di Guardiola e, sfruttando proprio quelle caratteristiche della Roma che tutti avevano sempre descritto come punti di forza della squadra capitolina, ne ha fatti sette in scioltezza, quasi in una ripetizione della semifinale mondiale tra Brasile e Germania. Con una grossa differenza: il Brasile è uscito male da quella partita, ma il suo Mondiale è finito lì; la Roma — dopo quei sette schiaffoni — avrebbe avuto ancora tutta la stagione davanti.
Le ripercussioni, minimizzate da tutti gli addetti ai lavori romanisti, ora sono più che mai evidenti. Una squadra che prima giocava con sicurezza, padronanza, quasi spavalderia, adesso è timorosa, impaurita, titubante nel possesso e nello sviluppo di quella manovra che prima nasceva in maniera così naturale. Come se aver preso sette reti proprio a causa di quel tipo di atteggiamento spavaldo, a testa alta e sicuro di sé abbia poi portato a non essere più così sicuri che quello stesso atteggiamento sia una carta vincente.
Così facendo, però, il gioco stesso ha perso il suo motore principale, la sua fluidità, le sue trame giocate a memoria e — inevitabilmente — sono iniziate a mancare le vittorie e i punti in classifica. La Juventus, che si pensava potesse avere qualche problema di assemblamento con l’arrivo di Allegri al posto di Conte, corre spedita mostrando un gioco sempre più armonioso e vola in classifica.
Con il girone di ritorno appena iniziato, tempo per avere paura non ce n’è più. Se vorrà avere ancora voce nel capitolo Scudetto, la Roma dovrà eliminare dalla propria testa il ricordo del Bayern e di quei sette gol: per quanto dolorosi possano essere stati, sono e resteranno un incidente di percorso.