In bilico… Tra scarti e falsi nueve
Filippo Inzaghi è stato un grande, grandissimo attaccante. Ha fatto la storia del Milan e della nazionale italiana, ha collezionato non pochi record e ha avuto una carriera incredibilmente lunga per essere un centravanti (tra l’altro segnando fino all’ultimo). 316 gol in carriera in ventun anni da professionista, una media di 15 all’anno, praticamente, segnati in tutti i modi, i tutti luoghi e in ogni competizione; una marea di trofei vinti, quasi tutti da protagonista assoluto.
Eppure non è detto che un campione sia automaticamente anche un buon allenatore (nemmeno grande, eh. Buono, semplicemente). SuperPippo semplicemente s’è fermato alla transizione da calciatore ad allenatore, senza nemmeno completarla. Perché la notizia è che Inzaghi Filippo da Piacenza, oggi 25 gennaio 2014, non è un allenatore di calcio – e per i più attenti non si può nemmeno parlare di “notizia”. Che non lo sia ancora o che non lo diventi mai non si può sapere con certezza ma indubbiamente, per quanto visto fin qui, molti dei problemi rossoneri trovano la loro origine in una guida tecnica che non è stata all’altezza nemmeno un giorno da quell’ormai lontano 9 giugno in cui Pippo prese il comando della barca tolta a Seedorf.
I tornei amichevoli vinti quest’estate e il Trofeo Bernabéu conquistato dopo Natale assumono ora il sapore di uno sberleffo, alla luce dei 26 punti che si contano nella classifica milanista. Nelle ultime cinque gare ecco il definitivo tracollo: la miseria di appena due punti, con l’antipatica sottolineatura delle tre sconfitte nelle ultime quattro partite. Un passo desolante per una squadra come il Milan, che – in teoria – dovrebbe ambire a ben altra piazza che non la nona attualmente occupata.
Certo, la società rossonera è allo sbando da almeno un paio d’anni, non esiste nemmeno l’ombra di un progetto tecnico, i giocatori non sono granché (per non dire che sono quasi tutti scarti di altre realtà o addirittura scarsi) e mancano pure i soldi per rimediare almeno parzialmente all’attuale, desolante, situazione. Ma decidere di detronizzare Seedorf che, perlomeno, aveva chiarissima la situazione del club e i reali valori della rosa, per designare come spirito guida dello spogliatoio e della res tecnica Inzaghi sa di peccato mortale fatto e finito. Non sappiamo se SuperPippo abbia favorito o meno la sua ascesa alla panchina che fu di Ancelotti colpendo alle spalle l’ex compagno olandese o se, semplicemente, s’è limitato ad assistere senza muovere un dito (né ci interessa): quel che sappiamo è che Filippo è la persona sbagliata nel momento più sbagliato di tutti.
Incompleto, inesperto, impreparato (almeno a questi livelli), incapace di pensare a un’intelaiatura di gioco anche solo vagamente proponibile: questo Milan è figlio di mister Inzaghi in tutto e per tutto; l’ex numero 9 è stato scelto per ridare entusiasmo allo spogliatoio e l’ha fatto, finché ha potuto. Ma era la sua unica abilità. Sterile, disorganizzato, confuso, deprimente e inutile; una compagine talmente incapace di proporre qualcos’altro rispetto al contropiede che Pippo ha dovuto reinventare Ménez falso nueve, perché sa benissimo che un finalizzatore puro morirebbe di fame, freddo e solitudine in mezzo all’area (Torres, per quanto declinante, e Pazzini insegnano). Le uniche iniziative offensive vengono costruite sugli errori avversari e mai sulla proposizione di trame coerenti, oppure sulle singole folate di quei pochi buoni calciatori in rosa, specialmente Bonaventura. Il materiale umano è quel che è – nemmeno degno di allacciare gli scarpini alla squadra del 2006/2007, per dirne una e nemmeno la migliore possibile della storia del Diavolo – ma non si racconti che la Sampdoria, il Palermo o il Genoa hanno una rosa superiore; eppure sono realtà organizzate e stanno rendendo come o persino meglio del Milan.
Onestamente, al di là di importanti interventi in sede di mercato o, meglio, di revisione integrale delle risorse tecniche (necessariamente da fare la prossima estate, adesso non c’è tempo) l’unica scorciatoia che pare percorribile – quantomeno per provare a salvare la faccia e la seconda metà del campionato – è il divorzio con l’allenatore. Una separazione tutelerebbe Inzaghi che, nonostante tutto, non vedrebbe praticamente intaccata la sua immagine di leggenda positiva e vincente, così come consentirebbe alla società di riazzerare lo scempio tattico tendente a un nulla caotico orchestrato (?) dall’ex numero 9 e “normalizzare” la situazione, senza trascendenze ma, magari, con più sostanza.
Il Milan e Pippo si stanno facendo male a vicenda. Se l’amore tra i due esiste davvero, abbiano entrambi il coraggio di capirlo e agire di conseguenza.
Ma per sé stessi, prima di tutto.