Home » La scelta di Giovinco

La Formica Atomica sta preparando le valigie, destinazione Toronto. Lì dove il suo talento potrà decollare seguendo il vento, come un aquilone libero di esibirsi in circonvoluzioni, svincolate dall’obbligo di dover sempre dimostrare qualcosa in più degli altri. Accolto ancor prima di sbarcare con l’entusiasmo che si riserva ai campionissimi, da lui in Nord America ci si aspettano mirabilie, lustrini e prestazioni enfatiche. “Entertainment”, per dirla nella loro lingua e del resto, non a caso il soprannome del piccolo fantasista della Juventus proveniva proprio da quel mondo ipertrofico dei cartoni animati. Con la differenza che in Canada, la Formica Atomica potrà essere tecnicamente Giovinco, mentre qui in Italia, Giovinco non si era mai affrancato da quello scetticismo di fondo che si riserva a chi, tutto sommato, data la piccola taglia somiglierebbe più a un personaggio dei cartoni animati che a un campione, nonostante il talento e la classe.

A Giovinco si rimprovera di aver accettato un trasferimento in un campionato di basso impatto competitivo proprio nel mezzo della carriera. Eppure fino ad oggi solo i più accorti e i fan delle statistiche di Bizzotto avrebbero detto a colpo sicuro che Giovinco stia per accedere alla soglia dei 28 anni, nei prossimi giorni. Quasi fosse ancora l’eterno giovanotto italiano, alle prese con una tardoadolescenza calcistica.

Trent’anni fa, sulla rotta Torino-Toronto, s’imbarcò un altro juventino. Non uno qualsiasi, ma un simbolo, sia da giocatore in campo che dopo come dirigente, Roberto Bettega. Passati i trent’anni ed esaurita la produzione dell’ormone giovanile più agonistico, “Penna Bianca” andò a svernare per una stagione nei Toronto Blizzard (squadra poi sparita e rimpiazzata dall’attuale Toronto Football Club), mettendo anche a segno un giusto numero di gol. In epoca recente, ma stavolta a Montreal, hanno giocato gli ex laziali Di Vaio e Nesta. Ma ciascuna di queste avventure era cominciata una volta imboccati i cancelli che danno sul viale del tramonto e non prima di aver recitato tutte le parti residuali e disponibili sui palcoscenici principali.

Del resto, chi non avrebbe vacillato di fronte ad un’offerta tanto ricca di zeri che sembra essere uscita dalla contabilità di Paperopoli? Dal canto suo, le ultime stagioni di Giovinco non devono essere state propriamente allegre. Sempre un po’ ai margini della Juventus, spesso in dissidio con la tifoseria, figura di contorno in Nazionale, dove è riuscito ad apparire ad un Europeo per poi sparire al momento del Mondiale. L’alternativa, era una maglia da titolare – probabile ma non certo- nelle squadre della “zona quarto posto”, quell’immensa fascia che va dalla Lazio alla Fiorentina, passando per il Milan (che per una volta, ha perso l’appuntamento con un giocatore prossimo allo svincolo), arrivando fino all’Udinese. Certo fosse stato Zola, avrebbe avuto una città ad accoglierlo a braccia aperte, come successe a Cagliari. Ma un legame tanto forte d’appartenenza tra Giovinco e un territorio di provenienza, non c’è mai stato. Vien da chiedersi se davvero Giovinco, a parte un complemento di anagrafe, avesse ancora molto da dare a questa serie A, sfaldata e sfibrata.

Ma soprattutto, quale monumento di gratificazione avrebbe potuto ricevere, al punto da rinunciare al tuffo nei milioni di dollari? E non rappresenta una sfida altrettanto significativa, dal punto di vista umano, diventare ambasciatore del pallone in un campionato che ha voglia di lucidare stelle e contemporaneamente portare la propria vita in quell’avamposto di civiltà che è il Canada?
Ha davvero ancora senso consumare le proprie carriere sulle panchine delle grandi, come è accaduto a Pazzini?

Al giorno d’oggi l’offerta è globale, forse solo l’opinione pubblica nostrana è rimasta ferma su posizioni che prendono polvere e che prospettano una media carriera di serie A come destino comunque preferibile alla ricerca di alternative economiche, esistenziali e sportive altrove. Prima di Giovinco, i nostri Gilardino e Diamanti avevano già accettato la rotta per la Cina. E anche Beckham, quando firmò coi Metrostars, di anni ne aveva 32: in fondo pochi, considerando i 38 anni di Totti o i 37 di Di Natale o Toni (che un’esperienza negli Emirati l’ha già fatta tre stagioni fa).

Un aspetto particolare delle migrazioni sportive che hanno coinvolto i suddetti giocatori, è che tutti hanno finito poi per rientrare in Italia o in Europa, quando attraverso carambole di prestiti ripetuti, come Beckham. e quando dopo brevi stagioni, come il neo fiorentino Diamanti e, a quanto si prospetta, Gilardino. Probabilmente anche gli investitori stranieri, sanno valutare i propri investimenti, i ritorni attesi e gli ammortamenti previsti. O davvero vogliamo pensare che a Toronto ci sia ancora qualcuno pronto a comprarsi la fontana di Trevi?

A Giovinco che va in Canada, non resta che augurare che ritrovi la voglia di divertirsi e di divertire.
So long, Sebastian. Magari ci si rivede anche prima del previsto.