L’anno che verrà – Eurobasket 2015 e il sogno olimpico

Quando mi è stato detto di scrivere l’editoriale che avrebbe chiuso il 2014, presentando però un evento del nuovo anno, non ho avuto dubbi. Al di là della Coppa d’Africa di calcio, di cui parleremo più avanti sempre nella rubrica “L’anno che verrà“, uno degli eventi sportivi che catalizzerà l’attenzione degli appassionati della palla a spicchi sarà Eurobasket 2015. Non c’è in palio soltanto il titolo di miglior squadra del vecchio continente, perché come da tradizione vi sarà anche la possibilità di accedere direttamente alle Olimpiadi. Si parte in salita, come nel 2013, in un girone che definire di ferro probabilmente non rende abbastanza l’idea: per sdrammatizzare con una battuta, mancano soltanto il Dream Team statunitense 1992 e i San Antonio Spurs e, probabilmente, peggio di così non poteva andare. Spagna, Serbia, Turchia, Germania e Islanda, un inferno che però può essere un punto di partenza per provare ad aggredire la zona medaglia sin da subito, con un atteggiamento da dentro-fuori che, da sempre, ci è più semplice da mettere in pratica piuttosto che dover vincere a tutti i costi perché favoriti.

Sì, perché nonostante un roster sicuramente inferiore a molte squadre, al completo possiamo comunque dire la nostra. Eccome. Nel 2013 eravamo piccoli, troppo sottodimensionati e per riuscire a passare un primo girone di ferro siamo arrivati sulle gambe nel momento che contava davvero, ossia contro Serbia e, soprattutto, Ucraina. Belinelli ha dimostrato di essere un giocatore perfetto se inserito in un contesto che non lo costringa a emergere come solista, mentre in quell’occasione fu chiamato, insieme a Datome, a essere il primo violino per eccellenza: troppo anche per chi, nel frattempo, è diventato campione NBA. Molto passerà dal recupero di Andrea Bargnani, primo europeo a essere scelto alla #1 del Draft statunitense e talento perso per colpa di allenatori sbagliati, scelte errate da parte del giocatore e, soprattutto, limiti caratteriali che non ti puoi permettere di avere se ti porti dietro quell’etichetta di “erede di Nowitzki” stampato un po’ ovunque. Dal suo recupero, sia fisico che mentale, si deciderà probabilmente quanto potrà andare avanti questa nazionale: perché Cusin va bene per fare a sportellate, Melli è cresciuto tantissimo a Milano, ma un lungo come Bargnani, in azzurro, non lo abbiamo da quando lo stesso Bargnani – in un’epoca che sembra essere lontanissima, in realtà sono passati solo cinque-sei anni – ne metteva 30 in ciabatte contro la Macedonia.

Con Datome e Gentile, passando per Gallinari e Hackett, il talento finalmente sembra essere l’ultimo problema di questa squadra. Con tutto il rispetto per i vari Maestranzi, Vitali, Magro e Rosselli, mi spiace ma per la nazionale azzurra deve servire di più, non può bastare soltanto la voglia e poco altro. Un sistema di gioco basato sul sacrificio comune, sbilanciato sì sugli esterni, ma senza sdegnare qualche palla dentro per Bargnani, potrebbe già di per sé bastare per stare davanti a Turchia – in netta fase calante rispetto agli anni d’oro  – e Islanda, mentre per lottare alla pari con Spagna, Serbia e Germania servirà abbassare le gambe e tenere botta contro squadre oggettivamente più forti di noi. La Spagna ha talmente tanta abbondanza di talento che può permettersi di lasciare a casa giocatori che sarebbero titolari in tutta Europa, la Serbia è stata finalista all’ultimo Mondiale, sconfitta soltanto dagli alieni provenienti da oltreoceano, mentre la Germania sarà guidata, davanti al proprio pubblico, da un certo Dirk Nowitzki, all’ultimo ballo prima di appendere la maglia della nazionale al chiodo.

Se dovessi fare una richiesta alla dea bendata in questo momento, però, non chiederei una medaglia, né tanto meno una qualificazione olimpica. Sarebbe troppo. Vorrei soltanto che tutti i grandi giocatori italiani fossero sani e arruolabili, contemporaneamente, per una grande rassegna continentale. In primis i quattro NBA, Belinelli, Gallinari, Bargnani e Datome, e poi anche i tanti giocatori azzurri che hanno dimostrato di poter stare in campo con i più forti d’Europa: mi vengono in mente Hackett e Gentile, così come Melli, Aradori, Diener o, perché no, anche Cinciarini. Tutti pronti e utili alla causa per non costringere qualcuno ad arrivare ai quarti di finale in palese debito d’ossigeno, facendo rimpiangere un percorso a dir poco perfetto sino a quel momento: perché non c’è nulla di peggio che arrivare ottavi quando, per qualificarsi ai Mondiali, bastava entrare tra le prime sette. Quella beffa è ancora troppo fresca nel cuore di tutti gli appassionati di pallacanestro e regalare un’Olimpiade da protagonista a tutta Italia potrebbe rilanciare il movimento intero. E chissà mai che il cielo non possa tornare a essere azzurro, sopra Berlino.

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Alessandro Lelli