Ciao 2014 – Era l’anno dei Mondiali

Da oggi, MondoPallone inizia a ripercorrere l’anno che va concludendosi con una serie di editoriali tematici. A cominciare dall’evento che ha catalizzato la maggiore attenzione mediatica in assoluto. I Mondiali brasiliani. Buona lettura e buone feste.

Nei mesi precedenti, ne abbiamo letto e risentito la storia su ogni media. E per qualche giorno, siamo stati tutti esperti di Maracanazo. Dai piroscafi del 1930 al Maracanazo del 1950, la Grande Ungheria di Puskas e l’Arancia Meccanica di Cruyff, i tre mondiali di Pelè e i gol all’Inghilterra di Maradona. Italia – Germania 4-3 e la tripletta di Paolo Rossi. Ronaldo e Zidane. Materazzi e Zidane. Fino all’avvento della Spagna dei palleggiatori. Mai come quest’anno, tutto è stato ripercorso e narrato, contestualizzato e analizzato, spesso con legittimo taglio generalista a scopo divulgativo, ma anche con approfondimento accademico (se si pensa al sontuoso “storytelling” di Federico Buffa), in grado di inquadrare anche criticamente aspetti di storia materiale e popolare. E forse già questo approccio narrativo, ha rappresentato la prima novità del Mondiale brasiliano.

Poi, dopo anni di preparazione, anticipato da polemiche e scontri per le strade, sponsorizzazioni e televisori in svendita, convocazioni e tagli alle rose, apocalittici riluttanti e integrati sul divano, una volta esauriti i prolegomeni di benvenuto con Jennifer Lopez e il Corcovado, finalmente ha esordito sul campo ‘Brazuca’, il pallone dei Mondiali, infilato per la prima volta oltre la linea di porta da una sfortunata autorete del brasiliano Marcelo. Avrebbe fatto seguito una doppietta di Neymar, agevolata da un rigore generoso che ha contemporaneamente aperto il controcanto polemico dei commentatori.

Ma proprio sulla possibilità di commentare e sulla condivisione dell’evento, possiamo ravvisare un’altra tendenza di questo Mondiale: è stato un Mondiale a quattro dimensioni, dove alle tre del campo, si è aggiunta quella dello spettatore interattivo, che in molti casi ha potuto aumentare la propria percezione dell’evento, commentando in diretta, grazie agli strumenti di condivisione sociale. Certo, anche nel 2006 e nel 2010 questa caratteristica era presente, ma con i Mondiali brasiliani, gli smartphone e Twitter hanno definitivamente circondato l’intorno del campo, creando un effetto di realtà aumentata dove tutto poteva essere frammentato in fermo immagine e didascalia, battuta sarcastica e approfondimento tecnico, a rimbalzo globale per comunità di utenti in grado di autoselezionarsi contenuti e punti di vista, ben oltre la tribunetta posticcia di un talk show di fine partita.

Venendo al fatto strettamente tecnico e a quanto scolpito dal campo sul bassorilievo della memoria, il primo segno di cambiamento è venuto dalla precoce eliminazione dei Campioni del Mondo in carica. Sul Tiki Taka della Spagna, dopo anni di dominio dei continenti, è tramontato il sole. Né meglio è andata all’Inghilterra o all’Italia, schiantate dalla tonicità e dalla vitalità del sorprendente Costa Rica.
Così, dalla prima fase emergono squadre tecniche e ruspanti a cui gli spettatori europei non sono tutto sommato abituati: Messico e Cile, ma anche e soprattutto, la Colombia, che mette in evidenza Jaime Rodriguez, per molti il miglior giocatore del torneo.

Ma il momento epocale del Torneo arriva l’8 luglio, all’ Estadio Minerao di Belo Horizonte. In campo per la semifinale, Brasile e Germania. Finirà con un epocale 1-7, che sancisce l’umiliante disfatta dei padroni di casa e rende chiaro al mondo la forza della Germania. Il tabellino, lo ricordiamo, è il seguente: 10′ Müller (Ger), 23′ Klose (Ger), 24′ Kroos (Ger), 26′ Kroos (Ger), 29′ Khedira (Ger), 69′ Schürrle (Ger), 79′ Schürrle (Ger); 91’Oscar (Bra). Nella stessa sera, Miroslav Klose, diventa il miglior marcatore di sempre nella classifica dei bomber mondiali.

E proprio la Germania andrà a vincere il Mondiale, superando ai tempi supplementari con gol di Goetze una volitiva Argentina, dove tuttavia Messi non riesce ancora una volta a incidere. Non è solo una vittoria di chi ha giocato meglio, ma ancora una volta, come era stato per la Spagna, si tratta dell’affermazione di una scuola calcistica, maturata con gli anni e incentrata sulle capacità tecniche del collettivo e sull’organizzazione di una manovra che eredita il Tiki Taka spagnolo, sfrondandolo però dei narcisi orpelli mediterranei e portandolo a livelli di efficienza produttiva tedesca. Una sapienza tattica e tecnica che ha radici lontane, nella ristrutturazione dell’intero sistema presistente tedesco, negli investimenti operati a livello di formazione, anche scolastica, e nell’audacia degli allenatori che hanno saputo forgiare una mentalità condivisa dai giocatori, senza guardare ad età o curriculum. Al Bayern Monaco di Guardiola spetterà il compito di operare il transfert a livello di club.

E l’Italia? Ancora una volta si è trattato di disfatta. Meno evidente di quella subita in Sudafrica dai reduci di Lippi, ma forse ancor più pesante, vista la situazione complessiva della scuola calcistica italiana. A farne le spese, principalmente il Mister Prandelli e Mario Balotelli. La vecchia guardia dei Buffon, De Rossi, Marchisio e Chiellini è ancora lì, che ci riprova con Conte. Ma questa è una storia che ancora deve essere scritta. Di certo, il Mondiale ci ha consegnato un ennesimo “Anno zero”.

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Paolo Chichierchia