C’era una volta, Costantino Rozzi
Decorre oggi il ventennale dalla scomparsa di uno dei personaggi storici di un calcio che fu. Costantino Rozzi, indimenticabile presidentissimo dell’Ascoli, archetipo della stirpe dei “presidentissimi”.
La stampa era solita caratterizzare con l’aggettivo ‘vulcanici’ questa categoria di ‘patron’ del calcio locale, come Rozzi all’Ascoli, ma anche Massimino a Catania, Anconetani a Pisa, Scibilia ad Avellino, Lugaresi a Cesena. Tutti protagonisti con le loro squadre di provincia, combattenti di periferia in una serie A che negli anni ’80 brillava di stelle, forse ancor più di quando capiti oggi in Premier League o in Liga. A loro spettava il compito di allestire squadre in grado di resistere agli urti delle corazzate, racimolando il massimo dei punti disponibili in tornei a 16 squadre, con due punti a vittoria in palio. Classifiche corte, dove ogni scivolone di troppo segnava un inesorabile distacco dal ristretto gruppo di fondo classifica. E pazienza se la stessa stampa amava dipingerli in maniera fin troppo colorita, sottolineando sfondoni linguistici e folklorizzando aneddoti grotteschi (nel caso di Rozzi, gli scaramantici calzettoni rossi).
Costantino Rozzi, imprenditore edile, probabilmente costruì nelle Marche il modello più rappresentativo e durevole di queste realtà. Grande fiuto per gli allenatori, legò il proprio marchio di fabbrica al gioco del tecnico che più di ogni altro ha saputo legare il proprio nome alle avventure calcistiche in provincia: Carletto Mazzone. E fu sempre Rozzi, a portare Boskov in Italia. Negli anni di riapertura delle frontiere ai giocatori provenienti dall’estero, il parco stranieri fu invece di qualità più altalenante. Si cominciò con il primo africano del campionato italiano, il carneade ivoriano Zahoui (costato dieci milioni di lire), fino a nomi più rilevanti, come il brasiliano Dirceu o il giovane tedesco Bierhoff.
Nel paradigma della squadra ascolana, dovevano essere altri gli elementi in grado di fare quella pur minima differenza, tuttavia esiziale per la permanenza nella massima serie: una difesa arcigna e la capacità di rendere il proprio stadio un ‘catino infernale’, per usare una terminologia dell’epoca. Tra le fila dei bianconeri marchigiani consumarono una lunga militanza caratterizzata dalla fedeltà alla maglia difensori come Scorsa, Anzivino, Menichini, Boldini, Perico e altri, le cui facce costantemente si potevano ritrovare negli album di figurine, stagione dopo stagione, sempre in serie A. A centrocampo, ugualmente erano richieste doti temperamentali e capacità di frangere flutti, prima ancora che raffinatezze geometriche. Gli attuali tecnici Mandorlini e Iachini crebbero nella palestra del centrocampo ascolano con Rozzi, per poi provare a sfondare altrove. Davanti, l’importante era segnarne almeno uno di gol, preferibilmente senza poi più prenderne un altro. Quanti oggi ricordano i nomi di Muraro, Scarafoni o Hubert Pircher? A loro spettò il compito di firmare le vittorie, per lo più interne.
Durante la gestione Rozzi, l’Ascoli disputò 16 stagioni in serie A, ottenendo perfino un 4° posto nel 1979-80 (dovuto anche al declassamento del Milan, retrocesso in serie B in seguito allo scandalo del calcio scommesse) e sfiorando la conquista di un piazzamento UEFA (non così accessibile, all’epoca). Nelle 18 stagioni in cadetteria, l’Ascoli di Rozzi raccolse il record del maggior numero di punti conquistati, nella serie B a 20 squadre con 2 punti a vittoria: ben 61 punti della stagione 1977-78. E nel 1986, la vittoria in Mitropa Cup, il torneo che fu prestigioso antesignano della Coppa dei Campioni, poi diventato trofeo riservato alle neopromosse d’Europa.
Ricordare oggi Rozzi, significa anche ricordare come era un calcio più federato in regioni che globalizzato, con le spiccate caratterizzazioni di campanile e i tratti umani ben solcati sulle rughe del campo. E raccontarne la storia a chi, per ragioni anagrafiche, non ha vissuto quel periodo. Ci dispiace, ma il Sassuolo del presidente di Confindustria e del centravanti della Nazionale ivi parcheggiato dalla Juventus, per quanto faccia simpatia, non è la stessa cosa.