Ritrovarsi un Jack di cuori nella manica
Che io abbia un debole per i trequartisti è cosa nota e risaputa. È persino scritta nella breve presentazione di fianco al mio nome in fondo a ogni articolo.
Il trequartista è poesia, è arte, è imprevedibilità, è un assolo di chitarra elettrica tra le note pop di una partita di calcio dai ritmi commerciali.
Il tempo degli Zidane, dei Rui Costa, dei Veron — e persino dei Gourcuff — in Italia è finito, ma avere in squadra uno come Giacomo Jack Bonaventura e non usarlo in quella posizione è un delitto con l’aggravante delle premeditazione.
Arrivato per caso a Milanello all’ultimo giorno di mercato (ricorderete tutti la trattativa sfumata all’ultimo con l’Inter e l’inserimento a tempo di record di Galliani), è riuscito con la sua serietà, la sua disciplina, la sua determinazione e la sua classe a imporsi negli schermi di Pippo Inzaghi, che ha scelto prima la sua titolarità inamovibile e poi la posizione ideale per farlo rendere al massimo.
A “fregare” Bonaventura è stata la sua duttilità: capace di giocare praticamente ovunque dalla metà campo in su, è stato prima provato esterno sinistro, poi destro, poi mezzala su entrambe le fasce.
Fino a ieri sera, quando, in un momento di intuizione tattica geniale che finora non aveva mai dimostrato di avere, Inzaghi l’ha schierato trequartista alle spalle di un Ménez sempre più vero nueve e di un Honda inutile se fatto giocare da seconda punta. La prestazione del ragazzo cresciuto nelle giovanili dell’Atalanta è stata talmente prorompente, però, da far passare in secondo piano la scarsa efficacia del giapponese.
Abile a giocare tra le linee e con la libertà tattica di poterlo fare, dapprima Jack ha visto un’autostrada nel sentiero presente tra le gambe dei difensori napoletani e ha servito un Ménez in serata per il primo gol e poi è andato lui stesso a concludere di testa un’azione iniziata dal suo piede e passata dal cross mancino di Armero per il gol del definitivo due a zero.
Ma, gol a parte, è la qualità data alla manovra del Milan a far breccia nell’attenzione dello spettatore medio. Coadiuvato dal ritorno dei piedi sensibili di Montolivo — che può piacere o non piacere (e a me non piace), ma è altra cosa rispetto a Essien o Muntari — nel semi-albero di Natale ancelottiano messo in campo da Inzaghi è diventato punto di riferimento fondamentale ed elemento imprescindibile per i propri compagni, oltre che spina nel fianco degli avversari.
Come se, per fare un parallelo con il poker, Inzaghi avesse avuto in mano finora una scala reale a incastro a cui mancava solo il Jack, senza rendersi conto di averlo avuto lì, un po’ per caso, a disposizione nella manica.
È il tuo turno, Pippo. Le carte per fare una bella mano votata all’attacco, adesso, le hai tutte.