La McLaren ha ufficializzato quanto già da tempo era ormai noto: Fernando Alonso nel prossimo campionato tornerà a correre sotto le insegne della casa inglese.
Nel leggere il comunicato stampa del team di Woking, il pensiero di molti è probabilmente tornato a cinque anni fa, quando fu la Ferrari ad annunciare l’ingaggio del campione iberico.
L’approdo a Maranello del pilota delle Asturie si svolse in un clima ambivalente, nemmeno paragonabile all’entusiasmo che accompagnò i primi momenti di Michael Schumacher anni prima e che, ora, pare circondare Sebastian Vettel.
Ciò che pare collegare i due tedeschi è infatti la speranza quasi fideistica dei tifosi nei loro confronti. L’”uomo delle sette stelle” ricompensò questa fiducia riportando la casa di Maranello al titolo dopo 20 anni e i ferraristi si augurano che la storia possa nuovamente ripetersi come seguendo il giro di un pneumatico sull’asfalto.
Lo spagnolo fin dal suo arrivo si confrontò con un’atmosfera in cui, oltre alla normale gioia per l’arrivo di un campione della sua portata, traspariva una certa diffidenza protrattasi fino a oggi. Giunse infatti all’indomani dell’inaspettato titolo vinto da Kimi Räikkönen, il quale obbligò la Ferrari a versare una penale sanguinosa per licenziare il finlandese (pagata poi dal Banco Santander, sponsor principale di Alonso). L’ex campione della Renault, inoltre, si era svestito da poco del ruolo di rivale di Schumacher e il ricordo di alcune dichiarazioni in merito alla presunta antisportività del tedesco e della Rossa di Maranello era ancora molto vivo nella memoria dei ferraristi.
Il tifoso è una strana creatura: capace di dimenticare in un attimo i rancori davanti a una vittoria, ma dotato di memoria elefantiaca in caso il nuovo idolo non ottenga i risultati sperati.
Lo scambio di e-mail canzonatorie con Pedro De La Rosa, durante la spy-story in cui vennero coinvolti la McLaren e Nigel Stepney e l’incidente di Nelsinho Piquet a Singapore, nel 2008, che concorse alla sua vittoria nel Gran Premio, causando contemporaneamente la sosta di Massa, con conseguente dimenticanza del bocchettone e perdita di punti che sarebbero risultati essenziali a fine Mondiale, si rivelarono elementi di enorme peso per il suo approccio al mondo ferrarista.
Fu però il 2010 il vero spartiacque per Alonso e la casa del Cavallino Rampante. Giunse all’ultima gara del Mondiale, ad Abu Dhabi, primo in classifica, seguito da Webber sulla Red Bull, Hamilton sulla McLaren e Sebastian Vettel sulla Red Bull. Una serie di decisioni sbagliate da parte dei box determinate dall’errata valutazione di Webber, giudicato erroneamente l’avversario più temibile, concorsero a far perdere all’asturiano un Mondiale che pareva quasi blindato, in favore di Sebastian Vettel, che guadagnò così il primo dei quattro allori oggi nella sua bacheca.
Il finale di quella stagione è tutto racchiuso nell’espressione smarrita dello spagnolo, seduto nel motorhome, colto nell’attimo in cui pare rendersi pienamente conto di aver visto scivolare fra le dita gli sforzi e le illusioni di una stagione conclusasi in maniera quasi beffarda.
Le seguenti promesse di far presto dimenticare a tutti quella delusione non vennero, purtroppo per lui e per i tifosi, mantenute.
Da allora, complice un progressivo indebolimento della monoposto, la quale evidenziò di anno in anno un preoccupante divario tecnico e aerodinamico rispetto alla concorrenza, prima della Red Bull e poi della Mercedes, il rapporto fra la casa e il pilota si è sempre più sfilacciato. Il punto forse più emblematico resta la gara di Monza 2013, quando i telespettatori udirono un esasperato Alonso prorompere contro i box in una frase ambigua, da alcuni interpretata come “Ma siete geni” e da altri come “Ma siete scemi”.
Saluta la Ferrari con il bottino di 11 vittorie: 5 nel 2010, una, a Silverstone nel 2011, tre nel 2012, in cui arrivò a soli 3 punti dal Campione del Mondo Vettel e 2 nel 2013. Buonissimo bilancio, che deriva soprattutto dal suo lavoro, viste le vetture non brillantissime su cui ha dovuto gareggiare. L’anno appena concluso ha portato come massimo risultato un argento in Ungheria, dopo una gara di rabbia e costanza emblematica della guida dello spagnolo.
Oltre a queste affermazioni lascia molti rimpianti, dovuti alla sensazione di non essere riusciti a sfruttare appieno un pilota talentuoso che, fra i Mondiali vinti, non potrà contarne uno con la Ferrari.