Quando mi chiedono se sia progressista o conservatore, in genere rispondo con la prima. Il mondo cambia, le abitudini anche e non abituarsi ritengo sia una chiusura mentale che, in questo periodo storico, non ci possiamo permettere. Ovviamente questo non vale per tutto e in qualsiasi ambito, ci mancherebbe, e infatti in questo caso sono molto più che tradizionalista. Avrete sentito sicuramente parlare del nuovo stemma del Real Madrid, privo di croce cristiana al centro della corona, conseguenza diretta dell’accordo multimilionario firmato con la National Bank of Abu Dhabi.
Cosa c’è di male in tutto questo? Semplice, il piegarsi direttamente al Dio Denaro, l’unica vera religione sotto la quale tutti sono d’accordo. Ci tengo a precisare che non è tanto la mancanza della croce che mi fa inalberare, non si tratta di un ragionamento da cristiano fanatico quale non sono, quanto che questo derivi da un accordo economico; il Real Madrid, non esattamente una squadra di seconda categoria, aveva davvero bisogno di gettare nella spazzatura anni e anni di tradizioni vincenti e altrettanto milionarie? Il mondo arabo si sarebbe sentito offeso se una squadra spagnola, e quindi a fortissima base cristiana, avesse avuto all’interno del proprio logo la croce? Benissimo, avrebbero potuto cercare un altro partner economico con cui negoziare l’accordo. Certo non sarebbe stato il Real Madrid, probabilmente la squadra con il maggior appeal mondiale, però se la croce dà così fastidio… pazienza. O forse no. Lo stesso ragionamento vale anche al contrario, cioè sarebbe altrettanto sbagliato che una qualsiasi squadra in Medio Oriente avesse accettato di togliere dal logo un simbolo appartenente alla cultura islamica, qualunque esso sia. E il discorso, volendo, potrebbe essere allargato anche al di fuori del mondo religioso. Perché sapere che la Nike ha appena ordinato al Barcellona, per la prossima stagione, di indossare una prima maglia a strisce orizzontali invece che verticali è quanto di più offensivo vi possa essere nei confronti con il passato. Ragionamenti probabilmente fuori da questo contesto storico, però credo che il calcio abbia molto più da trasmettere al mondo senza interferenze politiche, religiose o di qualunque altro tipo.
Quando si raggiunge un professionismo di questo livello è ovvio che i soldi siano una componente molto importante, specie se il fatturato della tua società – insieme ad altri parametri – è ciò che decide quanto tu possa spendere in sede di mercato. Però a tutto c’è un limite: fa niente – si fa per dire – se il Santiago Bernabeu, una cattedrale storica del calcio europeo, presto avrà il nome dell’International Petroleum Investment Company di Abu Dhabi, fa niente se il Barcellona, dopo anni in cui le seconde maglie sono state colorate il più possibile per venderne di più, giocherà l’anno prossimo con strisce orizzontali invece di verticali. Ma il logo, l’emblema del club e dei suoi tifosi, quello che i calciatori baciano per dimostrare che non si vuole indossare nessun’altra maglia se non quella, non va toccato.
I soldi da soli non fanno la felicità, ma almeno nel calcio moderno sembrano in grado di spostare molto più di alcune ideologie ben radicate. Ed è alquanto preoccupante, perché non oso immaginare quale sarà il prossimo passo.