Insieme stanno tornando a vagheggiare. Come una coppia scoppiata che ha ritrovato a distanza di anni una nuova spinta per costruire insieme, il Genoa e Gasperini si godono la ritrovata complicità, brindando al chiaro di luna di una classifica che parla di attuale terzo posto e prospettive di soggiorni europei, lasciandosi alle spalle i periodi bui del proprio recente passato.
Otto anni or sono, per la prima volta si erano incrociate le strade del tecnico allora emergente e del Grifone storico del calcio italiano. E fu subito promozione in serie A, poi salvezza e di nuovo salvezza e salvezza ancora, con un 10°, un 5° e un 9° posto, la felicità dei successi nel derby e la crisi dei cedimenti strutturali, sino all’esonero nel 2010. Gli anni seguenti raccontano una grigia e fugace avventura con l’Inter per Gasperini e un lungo viaggio alla ricerca dell’allenatore perduto per il Genoa. Sul finire della scorsa stagione, il ritorno e la conferma, meritata nella pugna per non retrocedere.
Come fu per un illustre allenatore del passato genoano, l’indimenticato Professor Scoglio, anche nel caso di Gasperini, sembra che solo nel recipiente tattico rossoblu riescano a conformarsi quelle idee tattiche riposte nel bagaglio professionale dell’allenatore. Tecnico forgiato alla palestra di Galeone, di cui fu giocatore e protagonista nell’unico Pescara che abbia mai raggiunto una salvezza in serie A (quello di Sliskovic e Junior), Gasperini fu calciatore dinamico, di ottima corsa e dai buoni fondamentali, con naturale mentalità offensiva. Caratteristiche che ha proiettato sui propri giocatori, una volta raggiunta la panchina. Dal suo mentore Galeone, Gasperini ha ereditato la propensione ad attaccare e a far gioco, nella convinzione che la somma dei punti finali debba onorare la cifra tecnica espressa nell’arco temporale della stagione, sebbene di partita in partita gli addendi conquistati non siano sempre rotondi e corrispondenti alle aspettative, tanto nel bene quanto nel male. E in un campionato a venti squadre, dove si sta livellando la competizione tra il terzo e il diciassettesimo posto, oggi i risultati sembrano dare ragione a chi ha puntato sull’identità di squadra piuttosto che sulla capacità di speculare in tattica (come sta accadendo anche all’Empoli di Sarri).
I pezzi sulla scacchiera stanno funzionando: il ritrovato Matri segna, Perin para, altri comprimari come Bertolacci e Antonelli stanno recitando con profitto la propria parte fino a intrasentire il profumo della Nazioanle, mentre l’argentino Perotti sembra candidarsi a sorpresa del campionato (come fu nella scorsa stagione per Iturbe). In attesa che anche il poderoso Kucka recuperi a pieno il proprio vigore atletico, un buon riscontro arriva dai punti conquistati in trasferta. Per vincere in maniera rotonda, come a Cesena, è necessario avere fiducia nei propri mezzi, non aver paura di proporre il proprio gioco e saper spingere portando giocatori in area e superando quelle griglie di auto contenimento psicologico, sedimentate nello sparagnino archetipo ancestrale del “primo-non-prenderle”.
Con un esercizio di ‘real politik’ previsionale, definiremmo poco probabile che il Genoa riesca a mantenere l’attuale posizione, visto che l’obiettivo di partenza era ed è la salvezza; ma se nel girone di ritorno la squadra dimostrasse di saper gestire il vantaggio acquisito, acquisendo la tranquillità di aver messo in banca il risultato minimo indispensabile e quella maggiore scioltezza che deriva dalla consapevolezza del proprio impianto di gioco, non è azzardato pensare di competere per una piazza europea. Come del resto è riuscito negli ultimi anni a Udinese e Torino (ma varrebbe anche l’esempio del Parma). Sulla sponda genoana l’Europa manca dal 2010, a conquistarla fu Gasperini (e ancor prima dai tempi di Aguilera e Skuhravy e degli storici incontri con il Liverpool).
Nella mente dell’allenatore ritrovato, probabilmente starà passando anche questo pensiero: l’innesco sembra individuato, la voglia di rivincita è sempre un propellente giusto.