Sampdoria, Okaka: “Mi sento italiano. A Parma volevo smettere”

In un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, Stefano Okaka ha deciso di raccontarsi, rivelando alcuni interessanti particolari. L’attaccante della Samp, nato a Castiglione del Lago e con passaporto nigeriano, ha così commentato sul tema della Nazionale: “Mi sento italiano. A maggio e venti giorni fa mi hanno telefonato per propormi di giocare per la Nigeria, ma ho detto no. Però il mio passato è là e oggi mi sento come un albero che non conosce le sue radici“.

Spiega poi le difficoltà incontrate negli anni passati: “Se fossi stato bianco sarei più considerato di quello che sono: un nero deve sempre dare qualcosa di piùNessuno ci ha fatto mai pesare il colore della pelle. A Cittadella sì, quando andavo a scuola. Non per il fatto di esser nero, piuttosto per il mio secondo nome ‘Chuka’, che significa ‘Dio al di sopra di ogni cosa’. L’anno dopo, quand’ero alla Roma, mi chiesero l’amicizia su Facebook: col cavolo, per me erano morti”.

Quindi le sue considerazioni sul tema dell’amicizia: “Adesso l’ho capito: l’amicizia che nasce quando sei piccolo o non sei nessuno è l’unica incontaminata. Quelle che vengono dopo sottintendono sempre un pizzico di interesse. Solo Diego, che ha una palestra a Castiglione del Lago, ha resistito alle selezioni: ci siamo conosciuti in campeggio e lui c’è sempre stato. Come c’era Cassano, quando a Parma era l’unico a credere in me e a proteggermi. Mi diceva sempre: «L’acqua che sta in cielo prima o poi scende, e scende forte». Antonio potrebbe fare il meteorologo…”.

Il giocatore rivela di aver pensato di lasciare il calcio quando era a Parma: “Tre nomi: Parma, Leonardi e Donadoni. Mi vogliono e poi inspiegabilmente mi mandano a La Spezia. Poi torno e mi fanno allenare da solo, senza spiegarmi nulla. Oggi devo dirgli grazie altrimenti non sarei mai arrivato alla Samp, però a quei tempi ero arrivato a dirmi che il calcio non era la mia strada. Ma il passato non si dimentica, perché ti lascia sempre qualcosa di buono. A me ha lasciato l’amicizia con Cassano e un nuovo modo di pormi con la gente del calcio. Ricordo la frase di Kobe Bryant: «Se non credi in te stesso, nessuno lo farà per te». Ci credo molto“.

Infine, ecco le parole sul suo idolo: “La folgorazione l’ho avuta a 10 anni, una cassetta che aveva portato a casa papà: il meglio di Ronaldo. Non riuscivo a smettere di guardarla. Lui era il calcio, non un calciatore: semmai un artista. Per me non esistevano altri, dopo di lui non ce ne sono stati altri e temo che non esisterà un altro come lui. Il gol con il Barcellona contro il Compostela ce l’ho stampato dentro gli occhi e quando a Catania, lo scorso campionato, sono partito da metà campo ho pensato: «Visto che studiare così tanto il Fenomeno ti è servito?». Quel giorno fu puro istinto, quando l’ho rifatto contro il Torino invece era consapevolezza. Ho nel cuore un sogno: incontrare Ronaldo. E anche LeBron James“.