C’era in Europa: la generazione d’oro della Polonia ’70-’80

Al principio degli anni ’70, mentre il calcio si accingeva a vivere la “Rivoluzione Orange” che avrebbe modificato schemi, ruoli e tattiche fin lì consolidati, nel blocco appartenente ai paesi del Patto di Varsavia, si mise in luce la Polonia, soprattutto a livello di nazionale, ma anche con consistenti passaggi nelle coppe europee. Prima di allora, si può ricordare solo la partecipazione ai Mondiali del ’38, quando la Polonia perse al termine di un rocambolesco incontro con il Brasile, terminato 6-5, con il suggello del fuoriclasse sudamericano Leonidas, dopo ben cinque rimonte polacche.

La prima manifestazione luminosa nel panorama calcistico internazionale si ebbe con la vittoria dell’oro nel torneo olimpico di Monaco ’72. Il 10 settembre 1972, superando per 2-1 l’Ungheria (dopo aver battuto nel corso del torneo anche l’URSS), la Polonia conquistò l’alloro olimpico. Allenata dal tecnico Górski, la Polonia mise in luce diversi giocatori che furono poi protagonisti al Mondiale disputato due anni dopo sempre in Germania, mostrando un calcio caratterizzato da vigore atletico, talento tecnico, mentalità offensiva (con caterve di gol messi a segno) ma anche grande solidità difensiva e, come spesso accadeva per le squadre dell’Est, forte vocazione al gioco collettivo.

Protagonista dell’avventura olimpica, fu l’attaccante e capitano della squadra Wlodzimierz Lubański, proveniente dalla squadra del Górnik Zabrze (234 partite e 155 reti) che segnò due reti nel torneo (75 partite e 48 gol, il suo considerevole bottino in nazionale). Poco dopo però, la carriera del talentuoso attaccante subì un’ interruzione a causa di un tremendo infortunio causato da un intervento dell’inglese Ball, in un incontro valido per le qualificazioni al mondiale del ’74 e vinto dalla Polonia per 2-0 (con gol di Godocha e di Lubański stesso). Uscito in barella, con un ginocchio a pezzi, Lubański avrebbe saltato il mondiale nel momento più importante della propria carriera. A parziale consolazione, l’esclusione della nazionale inglese a opera della propria nazionale. Nella sfida di ritorno infatti, a Wembley e di fronte a 100.000 persone, la Polonia, pur priva di Lubański, completò l’opera. L’incontro fu carico di tensione. Il leggendario allenatore inglese Brian Clough, prima della partita, aveva definito il portiere polacco Tomaszewski un “clown con i guanti”.
Con queste parole invece, l’allenatore polacco Górski caricò i propri giocatori: “Potete giocare a calcio vent’anni e vestire la maglia della nazionale mille volte, e nessuno si ricorderà di voi. Stasera, però, con una sola partita, avete la possibilità di scrivere il vostro nome nei libri di storia”. Finì 1-1, la Polonia andò in vantaggio per prima, il portiere Tomaszewski parò il possibile e l’impossibile. E gli inglesi furono costretti a guardare in tv il mondiale.

A prendere per mano la squadra, negli anni successivi, ci pensò il più talentuoso della covata: Kazimierz Deyna. Regista offensivo e giocatore carismatico, di grande intelligenza tattica, piedi raffinati e spiccato senso del gol, fu il miglior calciatore polacco di sempre. La sua carriera si svolse quasi interamente in patria, tra le fila del Legia Varsavia. In qualità di ufficiale dell’esercito, non gli fu infatti permesso di espatriare, se non dopo i trent’anni, quando andò a giocare prima al Manchester City, poi nel Soccer USA, a San Diego. Pelè lo ritenne il miglior giocatore dei mondiali del ’74, preferendolo anche a Cruyff e Beckenbauer. In ragione della propria fama, Deyna comparve anche nel film “Fuga per la vittoria”. Morì presto, nell’89 a San Diego, in un incidente stradale.

Importantissimi per il gioco della Polonia furono anche gli esterni. In particolare Grzegorz Lato (dello Stal Mielec), attaccante esterno dotato di scatto fulminante e ottime capacità realizzative e Robert Gadocha (Legia Varsavia), ala classica, forte nel dribbling e nella tecnica.

Furono soprattutto questi giocatori a trascinare la Polonia verso uno storico terzo posto (tra le vittime, l’Italia di Valcareggi – 2-1, Deyna, Szarmach e Capello), conquistando l’interesse della stampa mondiale, seppur catalizzata dall’Olanda di Cruyff e dalla Germania Ovest campione del mondo. In una semifinale disputata su un campo poco praticabile, che penalizzava la vena atletica dei calciatori polacchi, la squadra di Górski si fermò contro l’avanzata dei padroni di casa tedeschi, futuri campioni del mondo (1-0). Il terzo posto fu invece conquistato a spese del Brasile (1-0, rete di Lato).
In quegli anni del resto, la Polonia sconfisse Argentina, Brasile, Inghilterra, Italia e altre grandi. Alle successive Olimpiadi del ’76, disputate a Montreal, arrivò la medaglia d’argento (sconfitta in finale dalla Germania, ma stavolta dell’Est).

A completare la rosa di quella squadra, il robusto centravanti Szarmach (che prese il posto di Lubański) e il giovane difensore Zmuda, che anni dopo avrebbe militato anche nel Verona e nella Cremonese. Questi ultimi due, insieme ad un invecchiato Lato, parteciperanno anche al Mondiale del 1982 in Spagna, in cui la Polonia bissò il terzo posto, stavolta sconfitta in semifinale dall’Italia e da una doppietta di Paolo Rossi.

Leader della Polonia degli anni ’80 fu Zbigniew Boniek. Attaccante incontenibile in progressione, dal 1975 all’82, prima di trasferirsi in Italia, dove giocò con Juventus e Roma, “Zibì”aveva indossato la maglia del Widzew Lodz, con 175 presenze e 50 reti. Nella stessa squadra, militava anche Smolarek, altro valido elemento della rosa dell’82.
A livello di club, la Polonia non raggiunse mai la vittoria in un trofeo continentale, tuttavia in quegli anni diverse formazioni misero costantemente in difficoltà le tradizionali grandi europee.

Il Górnik Zabrze di Lubański fu la squadra che andò più lontano, arrivando sino alla finale della Coppa delle Coppe 1968, persa contro il Manchester City. In semifinale, la compagine polacca aveva eliminato la Roma beneficiando del sorteggio con la monetina, dopo un triplo pareggio sia negli incontri di andata e ritorno sia nella ripetizione del match (non valendo all’epoca la differenza reti).

Il Widzew Lodz di Boniek fu invece protagonista nei primi anni ’80. Nell’81 fu eliminato negli ottavi di Coppa Uefa dai futuri vincitori dell’Ipswich Town, non prima però di aver superato sia il Manchester United che la Juventus (con gol decisivo di Boniek su rigore). Nella Coppa dei Campioni dell’82, eliminò i favoriti del Liverpool, ma si arrese in semifinale alla Juventus (con Boniek stavolta nelle fila dei bianconeri).

Il Legia Varsavia di Deyna, oggi forse la più nota di squadra polacca, arrivò sino alle semifinali di Coppa dei Campioni nel 1970, arrendendosi a i futuri vincitori del Feyenoord.

Al mondo, che stava scoprendo il Total Voetbal olandese, l’esempio della Polonia sarebbe apparso come una “terza via”, innestando caratteristiche di gioco in velocità e mentalità offensiva sul modello tradizionalmente speculativo di accortezza tattica e contropiede. In particolare in Italia, dove le remore a sposare pienamente il gioco a zona persistettero fino all’avvento di Sacchi, tecnici come Castagner, ma anche lo stesso Enzo Bearzot, trovarono indicazioni nel modello della Polonia di Górski, fino ad approdare ad una zona mista. Del resto, anche oggi che il modello di gioco basato sulle ripartenze organizzate contende il monopolio tattico all’evoluzione in modalità “tiki taka” del Calcio Totale, a quella Polonia si può guardare come a un valido modello organizzativo.

Qui, il video della gara tra Italia e Polonia, nei Mondiali del ‘74