Il rispetto è profondo per una squadra impegnata su due fronti – per ora, in attesa della Coppa Italia – e il titolo di cui sopra è ovviamente da considerarsi a metà tra una provocazione e una cruda realtà. La Roma è assolutamente in corsa per la qualificazione agli ottavi di finale di Champions, ma potrebbe allo stesso tempo finire sia in Europa League che salutarla definitivamente, l’Europa. Il tutto, perché non ha saputo chiudere la partita, ieri sera, contro un coriaceo Cska.
La colpa è del gruppo nella sua interezza, ci mancherebbe; si vince e si perde sempre tutti insieme. Certamente, però, pesano le occasioni sfumate di Ljajic e, soprattutto, Nainggolan, che ha giocato una partita più che positiva, ci mancherebbe, ma ha peccato di freddezza proprio sul più bello.
E qui casca l’asino. Perché la Roma in Europa non deve giocare bene, non deve solo giocare bene, deve saper fare male. Non è possibile lasciare ancora tutto aperto per colpa di un gollonzo preso a dieci secondo dal fischio finale. Non è dimostrazione di maturità. La Roma ha un grande allenatore, ha un parco giocatori assolutamente competitivo, ma sta dimostrando poca, pochissima personalità.
Sentendo le chiacchiere del postpartita, soprattutto quelle scritte sui social, ciò che ha più impressionato è la quantità di stati e tweet in cui ci si chiede che fine abbia fatto la fame della Roma. No, dico io: il problema non è la “fame mancante”; il problema è più su, è nella testa. Garcia – che sta comunque facendo un ottimo lavoro, perché è facile parlare da fuori, ma chi vorrebbe essere, portafogli a parte, nella sua situazione? No, non siamo su Football Manager – sta riscontrando qualche difficoltà nella gestione della psiche del suo gruppo. Stiamo qui a dirlo e ridirlo: la batosta col Bayern ha fatto male, talmente male che la Roma ha perso grinta, ha perso cattiveria, ha perso qualità. La colpa è della doppia competizione: il campionato toglie risorse, la Champions è una sanguisuga di energie fisiche e mentali.
Classifica alla mano, arrivati a questo punto per passare bisogna vincere, o pareggiare e mettersi a fare i conti con la calcolatrice. Classifica avulsa, gol fatti e subiti, reti in casa e trasferta… tutto questo perché i lupi non sono stati lupi. Già, sono stati polli, la classica preda facile per chiunque. Nainggolan: fortissimo, ma quei palloni lì, in Champions, devono essere scaraventati in rete, eppure con rabbia. Ljajic: grande talento, ma se sbagli quei gol potrai segnarne duecento in campionato, Garcia ti terrà sempre fuori; inutile, poi, lanciargli le occhiatacce. De Sanctis: sembra di essere tornati a un paio di anni fa, quando chiunque a Napoli lo accusava di non essere in grado nelle uscite. Lungi dal dire che sia vero, il buon Morgan viene da un’ottima stagione, la scorsa, ma quest’anno anche lui sta facendo fatica a ingranare.
Tre casi presi come esempio, sia chiaro; ognuno ha le sue colpe, in una partita pareggiata ma che sa palesemente di sconfitta. Adesso, testa ai prossimi impegni, e paura da scacciare via. Obiettivo della Roma: arrivare a gennaio restando ancora nella Grande Europa, traguardo assolutamente raggiungibile. Finora, i giallorossi sono sempre caduti in piedi: hanno stravinto la prima, poi due pareggi e in mezzo due clamorose batoste. Quattro partite senza gloria, e ciononostante sono secondi.
Una vittoria, adesso. Fondamentale una vittoria, sia per ritrovare la convinzione nei propri mezzi, sia perché i bonus a dispoizione sono oramai belli che scaduti; un pareggio potrebbe non bastare, anzi, mi sento di dire che non basterà, perché il dio del calcio è stato, finora, fin troppo benevolo. Ora, il Calcio, va visto negli occhi e affrontato come una squadra vera, affamata, agguerrita. Come un branco di lupi. Non come dei polli.