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Abu Dhouble non serve, Hamilton trionfa e stampa la parola fine sul mondiale

Si chiude il diciannovesimo Gran Premio del 2014 e insieme a esso la stagione, con buona pace dei sempre meno sostenitori di questa Formula 1, ingrigita sotto una patina di interessi economici sempre più invadenti rispetto a quelli sportivi, per uno show sparso tra piste al limite del noioso cronico e scuderie incapaci di colmare gap abissali, causa assenza test.
L’ultima bandiera a scacchi ha visto trionfare Hamilton che ad Abu Dhabi, insieme alla coppa più grande, si è messo nel sacco il bottino grosso che vale un mondiale con una gara semplice e pulita, annullando il doppio punteggio in palio per una possibile rimonta di Rosberg. Quanto basta insomma per stampare il timbro sul secondo titolo e la parola fine sulla lunga diatriba interna alle frecce d’argento.
Ci hanno provato (o hanno recitato bene il copione) a rendere una stagione monotona un po’ più briosa, ci hanno messo del loro a complicarsi la vita in qualche situazione di conflitto, facendola diventare esplosiva, ben consci ad ogni modo di avere tra le mani uno shuttle a differenza della concorrenza, pronta a scannarsi su dei sidecar, insomma, quanto meno, hanno reso la lotta un po’ meno scontata e scevra di spunti.
Alla fine Rosberg ha dovuto cedere il passo come era previsto e prevedibile, Nico che di fatto ha rimesso la maschera da bravo ragazzo biondo con gli occhi azzurri proprio quando serviva tirar fuori gli artigli, e conficcarli nella schiena del povero Lewis, contro il quale si è limitato ad un misero buffetto recapitato sulla posteriore sinistra a Spa e nulla più. Il tutto nonostante i consigli di papà Keke, uno che l’unico titolo messo in bacheca nell’82 lo ha vinto approfittando del doppio forfait Villeneuves-Pironi, il primo deceduto in Belgio, il secondo costretto al ritiro dopo un terribile schianto in Germania, che, si vocifera nel paddock, abbia detto a chiare lettere al figlio di dover diventare più “figlio di p.” per poter vincere il campionato. Parole al vento. Hamilton si è preso così quella corona che a furor di popolo gli spettava, perché più bravo, più corretto e più simpatico secondo i picchi di applausi al suo turno sul podio, inversamente proporzionali a quelli di fischi per Nico.
Detto della questione pista, che a parte il verdetto finale, ha poco altro da proporre, il weekend di Abu Dhabi ha segnato la fine della storia in rosso di Alonso e quella rispettiva di Vettel in sella al toro. Un cambio epocale per due motivi: il primo riguarda la curiosità di vedere Sebastian finalmente su una monoposto diversa, il secondo la (pochissima) curiosità di vederlo in rosso al posto di un pilota che, in cinque anni, è entrato nei cuori dei tifosi, seppur non abbia vinto nulla, e proprio per questo compiendo un’impresa ancora più ardua.
Fernando ha avuto la capacità enorme di portare ai vertici una macchina a spasso tra la mediocrità e il catastrofismo tecnico, ha saputo demolire i suoi compagni di squadra, ma non è stato in grado di rispettare uno dei criteri di Enzo Ferrari, forse il più importante: “tra un pilota bravo e uno fortunato – diceva – scelgo sempre il secondo” e a Nando la dea bendata raramente è stata compagna nel cammino. Basti pensare che, nonostante detenga il record di punti ottenuti in Formula 1, gli sarebbe bastato ottenere otto punti in più per essere quattro volte campione del mondo invece che due. Questione di dettagli che in uno sport come la Formula 1 fanno la differenza; la sua prossima tappa è un altro punto di appiglio per la curiosità del circus: il ritorno della Honda in coppia con la McLaren. Una novità che insieme al mercato piloti renderà la prossima stagione, almeno sulla carta, molto più affascinante.
Obiettivo certamente non di difficile impresa vista e stravista la pochezza di quella appena conclusa, che comunque sia è riuscita per lo meno a regalare proprio sul fotofinish un sorriso proveniente dal Giappone, dove Jules Bianchi ha abbandonato l’ospedale di Yokkaichi per trasferirsi in Francia e finalmente respira in maniera autonoma, avendo dato chiari segnali di miglioramento che hanno permesso ai medici di sospendere il coma farmacologico. E tra le poche sfaccettature di questa stagione, la speranza di rivederlo sorridente in un Paddock, è l’unica che speriamo di portarci dietro nel 2015.