Christian Vieri si racconta: “Non potrei mai odiare l’Inter, ma sono stato trattato come un mafioso”

Christian Vieri rompe il silenzio e in una lunga intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport ritorna sul caso Moratti e sul futuro con ambizioni e nuovi progetti.

Presto mi iscriverò al corso allenatori negli Stati Uniti, mi sto informando. Ormai vivo qui, a Miami. In Italia non è semplice avere l’opportunità giusta, ora vediamo che cosa succede – spiega l’ex attaccante di Inter, Milan, Lazio e Atlético Madrid che poi ritorna sulla rottura con l’Inter e Moratti – È davvero un peccato che sia finita in un determinato modo. Amavo l’Inter, ho dato tutto, mi sono ammazzato per la maglia nerazzurra, ogni giorno. Agli allenamenti ero il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Non mi sono mai tirato indietro e a volte ho giocato nonostante non stessi in piedi. Però, mi dicevano: vai in campo, resta lì davanti anche fermo, che per noi va bene così. E io accettavo, perché ci tenevo davvero, anche a costo di fare figure di… Il mio rapporto con Moratti era speciale, forte, decisamente forte. Ci sentivamo parecchie volte durante il giorno, anche alle 3 del mattino, ci confrontavamo su ogni cosa. Mi faceva sentire uno di famiglia. Insomma, stavo bene professionalmente e umanamente, e davo ogni mia energia per la squadra. Capite bene la terribile delusione nel momento in cui è emerso che mi pedinavano e addirittura intercettavano. Cavolo, queste sono cose che si fanno coi mafiosi… Diciamo che dopo l’arrivo di Adriano le telefonate con il presidente si erano fatte meno frequenti. Insomma, era arrivato un nuovo campione. Ma io so come vanno le cose, in particolare nel calcio. Bastava parlarci direttamente e non avrei avuto problemi ad andarmene in buoni rapporti. C’era aria di rinnovamento e dopo sei anni era forse anche normale puntare su altri giocatori. Ma perché non vedercela fra di noi, in amicizia? Perché cercare la rottura in quel modo? Un giorno dissi: “Presidente, non ti preoccupare, se devo andarmene basta che me lo dici, non ci sono problemi”. E lui: “No, no. L’Inter siamo io e te, le colpe sono sempre nostre per gli altri, le responsabilità ce le prendiamo sempre noi due. Ti voglio al mio fianco…”. Io allora insisto, per essere sicuro: “Davvero presidente, se ci sono problemi…”. Risposta secca: “Va tutto bene!”. Altro che tutto bene quando poi vieni a scoprire di essere intercettato“.

Ancora su Moratti:Gli stringerei la mano. E lo abbraccerei anche. Lo ringrazierò comunque sempre: mi acquistò a peso d’oro dalla Lazio e mi ha permesso di vivere sei anni meravigliosi, travolto a lungo dall’amore della gente nerazzurra. Penso addirittura che mi amassero troppo. Però mi piaceva essere il loro simbolo, sentivo la pressione ma mi esaltava vederli tanto orgogliosi di me. Mi dicevano: “Con te possiamo fare la guerra a chiunque”. Era bello! Entravamo per il riscaldamento e lo stadio tremava, queste sono sensazioni che vanno oltre ogni trofeo. E solo la gente che era lì in quegli anni può capirlo. Io non potrei mai odiare l’Inter“.

Infine la delusione del Mondiale 2006 quando per infortunio ‘Bobo’ salto la spedizione Azzurra: “Lo sa che non riuscii a guardare nessuna partita degli azzurri? Dio, quanto ho sofferto… Ero distrutto, inizialmente evitavo anche solo di pensarci. Mi dicevo: ho faticato per anni, ho segnato 9 gol ai Mondiali e mi perdo il sogno di una vita. Poi, però, nel mio cuore ho gioito con tutti quei ragazzi, compagni di sempre in azzurro: era la nostra generazione, avevamo giocato insieme dai 17 anni in avanti, eravamo stati campioni d’Europa anche con l’Under 21. Certo, quella sera a Berlino era tutto perfetto, mancavo solo io…”.