Immaginatevi il Teatro di Dioniso, sull’Acropoli di Atene. C’è in programma una tragedia di un nuovo autore, attivo da un paio d’anni. Niente Euripide quest’oggi. Il tragediografo ha studiato un intreccio con un primo attore, da lui scelto tra tanti, con grande esperienza, che ha recitato sui palchi più importanti. Ha sì ricevuto applausi nella sua carriera, ma mai quella considerazione e quei successi che ti fanno essere tra i primi al mondo. Alle sue spalle, un coro di undici coreuti, ma privo di un corifeo, di un personaggio di primo piano, carismatico e dalla forte personalità. Quest’alchimia non funziona fin da subito: l’attore principale non incide nella sua interpretazione, il coro si muove disarmonico, il pubblico si infastidisce. Fino alla scena madre, recitata nei più totali squallore e inespressività. Fine dello spettacolo: cacciato il primo attore, aspramente criticato il tragediografo.
Se trasportata al quarto secolo avanti Cristo, la storia del Commissario Tecnico della Grecia, Claudio Ranieri, e del Presidente della Federcalcio, Giorgos Sarris, suonerebbe così. Ai giorni nostri, è una disfatta epocale sia per il movimento calcistico ellenico, sia per l’allenatore romano, entrambi mai andati incontro a una Caporetto simile. Le cause, come si ama dire, “sono da spartirsi fra tutti“, ma gli sportivi greci hanno nel mirino specialmente il numero uno dell’EPO, sulla cui linea d’aria sta anche il ct, chiaramente. Una scelta sbagliata, si dice. L’ultimo posto nel girone di qualificazione agli Europei, l’umiliante sconfitta contro le Isole Far Oer (definita da molti, senza mezzi termini, il punto più basso del calcio greco) e la desolante statistica di zero vittorie, nella storia recente legata soltanto ai traghettatori, sono dati che avvalorano questa tesi.
La rabbia dei tifosi però si ripercuote anche sulla precedente gestione del signor Sarris, che nella sua finora biennale presidenza ha visto uno dei punti più alti dello sport ellenico, gli ottavi di finale nella Coppa del Mondo, e il punto più basso. Evidentemente, qualcosa deve aver combinato anche lui. Oltre alla scelta di Ranieri, non consigliata da nessuno nell’entourage tecnico della Nazionale, gli si imputa la fine del rapporto lavorativo con Fernando Santos e con i suoi collaboratori. La domanda che ci si pone in Grecia è perché non si sia data la possibilità di un rinnovo a Santos, per poi offrire un milione e mezzo a un nuovo tecnico che non conosceva il calcio greco. Vedendo Sarris glissare con un politico “l’EPO non ha cacciato nessuno“, dando prova del totale caos che regna negli uffici della Federazione, i tifosi si aggrappano alla speranza di vedere il Presidente dimissionario in poco tempo.
Passando al Commissario Tecnico, com’è possibile un risultato così disastroso? Vanno premesse alcune cose. Innanzitutto, la Nazionale arriva da una rivoluzione generale, che ha investito anche il campo. Il ritiro di Karagounis e l’addio alla maglia azzurra di Katsouranis hanno garantito una perdita di carisma impressionante e un seguente deficit di leadership. Non è da tutti i giorni perdere il giocatore con più presenze in Nazionale e va da sé che sostituirsi a una personalità così forte e battagliera non sia facile. Se poi la fascia passa a Salpingidis, personaggio sensibile e abbastanza taciturno, le cose non migliorano. La sensazione di totale smarrimento che si sente ogni volta che si vede la Grecia giocare è imputabile anche a quello: un meccanismo di fiducia reciproca e coesione di spogliatoio, che forse un italiano appena arrivato non riesce subito a capire.
Le scelte di Ranieri hanno però ampliato quell’incertezza che regnava tra le fila della Grecia. Trentotto diverse convocazioni in quattro gare non sono indice di un mister con le idee chiare, anzi, si potrebbe pensare che l’allenatore non sappia che pesci pigliare. Intrappolato tra l’esigenza, forse, impellente di un cambio generazionale e la necessità di fare punti, il tecnico romano ha dato vita a un funambolico giro di tattiche e formazioni, infiammando la lavagna dello spogliatoio in più di un’occasione. Il 4-2-3-1 con Karelis a destra, il 4-3-3 alla Santos, il modulo a due punte mai visto in Grecia presentato contro l’Irlanda del Nord (poi corretto a fine tempo per manifesto squilibrio) e la sorprendente difesa a tre lanciata nell’assedio post 1-1 con la Finlandia, che ha causato più ribaltoni che altro, sono solo alcuni dei moduli messi a punto dal leonardesco ct. La squadra non ne ha certamente giovato.
Un altro punto da mettere a fuoco è la perdita della proverbiale forza di volontà, che rendeva la Grecia la Nazionale che non si arrende mai. Raramente in queste partite di qualificazione si è vista la forza morale che ha plasmato tutti i successi recenti dell’Ethnikì. Questo è da legarsi ai due addii citati in precedenza, che hanno portato a una carenza di aggressività, non tanto per la mera sparizione dei due giocatori (a dirla tutta, Katsouranis ha fatto più danni che altro al Mondiale), quanto della forma mentis che questi insegnavano. Una cattiva gestione della mediana, non più feroce e dal pressing asfissiante, porta anche a un affievolimento delle azioni offensive. Sia chiaro, la Grecia non ha mai avuto i tabellini della Germania, ma con un solo gol segnato è il peggior attacco del girone. Anche in passato ha sempre fatto registrare poche reti, ma le folate in avanti non sono mai mancate. Segno di un problema che, se in passato era da risolvere solo tra i finalizzatori, ora riguarda anche tutta la metà campo.
E la difesa? Quegli uomini tecnici e rocciosi che sono in viaggio per mezza Europa? Le distrazioni difensive sono state tante, anche da parte di ragazzi che stuzzicano i palati delle grandi squadre, come Manolas. Un altro segno di un decadimento senza precedenti, le cui cause hanno radici anche nel comportamento dei giocatori stessi. Adagiatisi nelle comodità che una Nazionale in crescita ti garantisce, i greci hanno forse perso la fame di successo e la voglia di dare tutto per la maglia. Molti di loro hanno, tra l’altro, un debito con l’Ethnikì, che è stata il teatro di molte belle prestazioni che hanno convinto grandi squadre a fare spese nella penisola. Uno su tutti, José Holebas. Lo stesso che ha rifiutato la chiamata due volte, pur non avendo problemi fisici ed essendosi allenato a Trigoria come tutti gli altri. Ranieri ha così dovuto affidarsi all’esordiente Karabelas, che ha vissuto i 90 minuti peggiori della sua vita, dopo tanto sacrificio e buone prestazioni con la maglia del Levante.
Concludendo, la crisi della Nazionale greca è stata tanto grave, quanto causata da motivi diversi. Il Presidente ha le colpe di una scelta autoritaria e troppo radicale, il tecnico ha dalla sua un trasformismo troppo elevato e la diffusione di ulteriore insicurezza, i giocatori poi si sono seduti sugli allori e sugli obiettivi raggiunti. Tutto ciò ha fatto dimenticare i frutti di un lavoro magistrale che durava da più di un decennio. E il cinismo del fato ha voluto che il punto più basso del calcio greco arrivasse esattamente dieci anni dopo il punto più splendente.