Doveva essere il Gp di Felipe Massa e in fondo lo è stato, detto e stradetto di una supremazia Mercedes che ormai non fa più notizia, il ragazzotto cresciuto a pochi chilometri dal tracciato si prende un podio che vale come una vittoria, cattivo e caparbio a non mollare l’osso, nonostante la penalità inflittagli per eccesso di velocità in pitlane.
Doveva essere il Gp di Hamilton e invece il bottino grosso se lo è accaparrato Rosberg, 25 punti che tengono ancora in vita, fino all’ultimo show stagionale, un romanzo che in fondo è piaciuto a pochi, troppo scontato, troppo ripetitivo, poco affascinante. Dopo la toccatina maldestra in Belgio, apice di emozioni per una stagione a dir poco noiosa, Nico sembrava aver tirato i remi in barca, quasi rassegnato al fatto che gli dei delle quattro ruote avessero in serbo un’inevitabile vendetta; Lewis ha così potuto prendere il largo ma ad Interlagos si è rivisto il vero Rosberg, bravo sul giro veloce il sabato, sicuro nella gestione della gara la domenica, su un tracciato che Hamilton non ha mai digerito e che puntualmente gli regala un brivido da fuori pista.
Ad Abu Dhabi, insomma, si capirà se i 17 punti di vantaggio dell’inglese saranno sufficienti a consegnargli il secondo titolo mondiale, ma nei fatti se la Formula 1 fosse una scienza perfetta senza imprevisti, quel titolo lo si potrebbe già intravedere nella sua bacheca. A Lewis basta chiudere alle spalle di Rosberg e all’orizzonte di un possibile terzo incomodo non si vede neppure l’ombra. Assioma ben dimostrato per tutta la stagione, tranne che in rarissime eccezioni, e anche in Brasile dove Massa ha concluso con 41 secondi di margine, un abisso pure se si corresse la maratona e non in Formula Uno.
Detto del podio, la medaglia di legno è andata a un ottimo Jenson Button, come sempre pronto a fare la sua gara diligente senza infamia e senza lode approfittando di un Bottas in versione Copa Cabana e mai in gara, capace di chiudere solamente la top ten. Il capitolo Ferrari invece è un’altra pagina mediocre di una stagione vissuta nella mediocrità, l’ennesima gara da gregari seguita dall’ennesima dichiarazione combinata dei due piloti, perfetti in coro a buttare tra i microfoni un “più di così non si poteva fare”. L’unico lampo di una gara al buio è stato il duello finale che ha visto prevalere, come da copione, Fernando Alonso, sesto al termine proprio davanti a Kimi ma dietro al suo successore Vettel, che per una delle poche volte in stagione è riuscito a battere Ricciardo, causa forfait dell’australiano.
Una magra consolazione per una stagione difficile che fra due settimane lo vedrà salutare la scuderia che gli ha permesso di vincere quattro volte il titolo mondiale, un addio nemmeno così doloroso viste le porte in rosso che gli si sono spalancate davanti; resta solo da capire come gli altri pezzi del puzzle, tra cui proprio Alonso, finiranno per incastrarsi; ad Abu Dhabi, con ogni probabilità, il quadro sarà molto più chiaro, e le tinte fosche che hanno accompagnato il mercato piloti da due mesi a questa parte dovrebbero svanire.
Non resta che l’ultimo capitolo dunque di una stagione (finalmente) giunta quasi al termine, forse l’ultima con sole due monoposto per scuderia, sicuramente una delle meno spettacolari nella storia di questo sport. Hamilton o Rosberg, questo è il dilemma, ma in fondo, comunque vada a finire, l’unica cosa che tutti attendono è tirare giù la saracinesca per ricaricare le batterie in vista di una nuova stagione, che possa ripristinare equilibri avvincenti e scrivere un romanzo senza una trama così scontata.