È probabilmente la squadra più in forma d’Italia, sebbene goda di pochissimo credito sia da parte della stampa, sia per gli appassionati. Di sicuro però nessuno ha fatto tanti punti quanti ne hanno invece raggranellati i biancocelesti nelle ultime cinque gare, addirittura sedici in sei, considerando anche la sfida di Palermo. Un bel momentum, per dirla alla latina (o alla maniaci di FIFA, se si preferisce).
Ma, in realtà, mai come quest’anno il progetto di Lotito pare essere indovinato in quasi tutte le sue componenti: finalmente una rosa non più risicata fino all’osso come in passato (al netto di eventuali elementi messi fuori rosa perché rifiutano il contratto ovviamente: alla Lazio, negli ultimi dieci anni, ne ha feriti di più la – mancata – firma che la tibia), finalmente un allenatore con cui sembra essere naturale un prosieguo sereno nel progetto, finalmente un gruppo che è forte in ogni reparto e, per una volta, finalmente ottimi colpi di mercato in entrato (non uno o due circondati da brocchi), con tanto di elementi di grande prospettiva in ogni settore.
Certo, onesti mestieranti e giocatori non proprio trascendentali non mancano ma, rispetto a un paio d’anni fa, i buoni giocatori sembrano più di quelli mediocri. Anzi, la squadra non pare appoggiarsi troppo sulle sue individualità aspettando che risolvano qualcosa: il processo di crescita pare uniforme, coi più bravi in grado di far rendere oltre ogni aspettativa i meno brillanti. E questa, per Pioli, è certamente già un’ottima conquista.
Anche con Reja e Petković la Lazio ha avuto ottimi momenti, vero, ma si è appunto trattato di momenti: bastava guardare la panchina per presumere che non sarebbe mai durata a lungo (e infatti non è durata). Quest’anno però pare diversa la solfa: l’inizio così faticoso e sfortunato, il raggiungimento di una solidità e di un’autostima di spessore passo per passo, gli infortuni a catena prima e i recuperi poi, le punte che prima si sbloccano, segnano ancora e ancora, si divertono (alzi la mano chi avrebbe puntato un euro bucato su un Djordjević così d’impatto. Ovviamente si astengano gli esperti di Ligue 1), la difesa che ha raggiunto un equilibrio stabile dopo qualche bruttura iniziale… Insomma, paiono gli ingredienti per un buon romanzo di formazione, piuttosto che quelli di un semplice exploit trimestrale.
Come in ogni bella storia, però, c’è sempre il deluso di turno e, stavolta, pare che il ruolo tocchi a Keita, colui che l’anno scorso sembrava invece una delle maggiori risorse futuribili dei biancocelesti, se non la migliore addirittura. L’ex canterano del Barça non va in panchina da un mese e non gioca da ancora prima, lo schema che Pioli ha messo a punto non prevede l’utilizzo del giovane spagnolo di origine senegalese. Ovviamente il talento è notevole ma acerbo, si parla di un classe ’95, il tempo è dalla sua, non c’è nessuna fretta, diamo tempo al tempo, non esistono più le mezze stagioni e tutto il repertorio delle frasi fatte, naturalmente. Retorica, indubbiamente, ma non priva di fondamento, visto il caso. Tuttavia è un peccato che in un ingranaggio che funziona così bene, in questa fase, non riesca a trovare spazio un giovanotto di bellissime speranze come il numero 14 di Formello (anche se indubbiamente questo si chiama “cercare il pelo nell’uovo”), giocatore che potrebbe essere un’autentica rivelazione tra due o tre anni. Ma si farà, non c’è dubbio. Pioli, tra le altre cose, è anche un tipo paziente.
E allora avanti così: auguriamo alle Aquile capitoline che procedano innanzi come hanno fatto nell’ultimo mese e mezzo, senza indugio e macinando risultati. Un po’ perché, alla fine, più competizione c’è in questa Serie A, più siamo soddisfatti; un po’ perché fa piacere che un personaggio non immune alle mattane (e che mattane!) come il presidente biancoceleste, dopo tanto parlare, sia al centro dei nostri discorsi più per aver semplicemente messo in piedi una buona squadra di calcio che non per quanto combinato al di fuori dal campo. Vero Claudietto?