A meno di un anno dalla Coppa del Mondo, l’Italia del rugby torna a disputare test match internazionali e lo fa pensando soprattutto alla manifestazione iridata, in programma in Inghilterra e Galles tra il 18 settembre e il 31 ottobre 2015.
L’ultima vittoria azzurra risale allo scorso autunno (Italia-Figi a Cremona). Da lì in poi solo sconfitte, in una crisi di gioco e risultati capace di far demordere il più tenace dei tifosi. Il problema è che l’Italia – sulla carta potenza di seconda fascia ma capace in passato di piegare a più riprese la Francia vice campione del mondo e spaventare l’Inghilterra – ha perso la sua identità, soffocata dalle nuove regole della mischia, o semplicemente lontana dall’idea di Italia che Jacques Brunel pensava di avere a meno di un anno dal torneo iridato.
A questo punto, con diversi Sei Nazioni e tour sulle gambe, il tecnico francese immaginava sicuramente saremmo stati più scaltri e navigati, pronti a soffrire e difendere il giusto ma anche a osare nelle occasioni adatte. Senza paura, da grande squadra: si pensava di essere creativi e aggredire la scena internazionale, giocare per vincere e non (solo) partecipare. E magari andare oltre il classico terzo posto nel girone mondiale.
Nulla di tutto questo, anche perché si sono aggiunti problemi strutturali, in controtendenza rispetto alla storia più recente. Per esempio, l’adesione dell’Argentina al Rugby Championship e una sempre più crescente professionalizzazione del movimento rugbistico dei Pumas ha privato l’Italia dei nuovi Castrogiovanni e Parisse, perché ora i giovani argentini di origini e sangue italiano difficilmente giocheranno per la nostra Nazionale, con conseguente perdita di talento, visto che certi giocatori non riusciamo ancora a produrli. E questo è uno dei problemi: troppo spesso ci siamo rifugiati verso l’oriundo di turno, per l’inadeguatezza della nostra formazione e la mancata capacità di tirar su ragazzi pronti per certi livelli.
Ora ci sono gli equiparati (come Kelly Haimona, oggi all’apertura) ed è bello che questi “nuovi italiani” sposino la causa della Nazionale, aiutino i prodotti locali e la squadra tutta: mi sento da sempre un sostenitore dello sport che insegue e riflette i grandi cambiamenti sociali, supera le definizioni classiche di nazionalità, trovando nuove appartenenze. Ma il problema è sempre lo stesso: sarà abbastanza? Non riusciamo a formarlo noi un numero 10 degno del Sei Nazioni e del Mondiale?
Proprio per questi interrogativi la partita di oggi contro le Isole Samoa, programmata per le 15 al Del Duca di Ascoli Piceno, acquista un’importante supplementare. Si tratta dell’occasione di rialzare la testa e serve soprattutto ai tifosi e al ct. Ai tifosi, per riabbracciare la maglia azzurra e dire presente anche stavolta. Ma soprattutto a Jacques Brunel, per dimostrare di avere la situazione bene in mano, nonostante i tonfi di un Sei Nazioni 2014 da cucchiaio di legno e i capitomboli dell’ultimo tour del Pacifico: il 15-0 di Apia lo scorso giugno è una ferita che è urgente suturare. Per scacciare l’incubo della mediocrità recente e scrivere il più bel mondiale della storia della Nazionale.
Sarà una gara intensa, ma anche molto tecnica e dove la tattica avrà un ruolo cruciale. Noi ci siamo concentrati sulla difesa, sulla capacità di essere maggiormente efficaci nel placcaggio: rallentare Samoa, non farli giocare in velocità ed in avanzamento, sarà la chiave della gara di domani. Abbiamo lavorato bene, come ho detto, ma adesso ci aspetta la prova del campo: tornare a vincere, per noi, è fondamentale (Sergio Parisse, capitano dell’Italia, 7 novembre 2014)