MondoPallone Racconta… I 70 anni di Gigi Riva, “Rombo di Tuono”

Il 7 novembre compie 70 anni un grande personaggio del calcio italiano, che si è guadagnato stima e rispetto con delle imprese sportive quasi epiche. Successo conquistato con rabbia: quasi a voler prendere a calci quella sorte che gli aveva lasciato cicatrici profonde nell’anima. E gli avrebbe riservato altre trappole. La sua potenza atletica e il tiro mancino devastante gli fruttarono un soprannome di breriana magia. Signore e signori, ecco a voi la storia di “Rombo di Tuono”, Gigi Riva.

Anni dolorosi

Luigi “Gigi” Riva nasce a Leggiuno (Varese) il 7 novembre 1944. Figlio di Ugo ed Edis, nasce durante la Seconda Guerra Mondiale e deve vivere i primi anni in grandi ristrettezze economiche e familiari. Il destino gli forma il carattere in giovanissima età: tra i 9 ed i 17 anni, perde prima il padre. La sorella Fausta, andando a trovare in ospedale l’altra sorella Candida gravemente malata, viene investita e resta paralizzata per 5 anni. Candida muore, seguita pochi anni dopo da Edis. Con l’altra sorella Lucia in attesa di partorire, tocca al giovane Luigi seguire il feretro della madre al funerale. Un’agghiacciante sequenza di disgrazie, tale da abbattere chiunque. Figurarsi un ragazzo. Ma la sua passione per il calcio spinge con prepotenza. Quando passa dal Laveno Mombello – sua prima vera squadra – al Legnano, in Serie C, è il 1962.

L’isola felice

Nella stagione 1962-63 va a rete 6 volte. Il ragazzo, non ancora ventenne, viene convocato dalla Nazionale juniores. Ed è grazie a una gara con gli azzurrini che viene notato da un dirigente dall’occhio lungo: Andrea Arrica, direttore sportivo del Cagliari, all’epoca in B. Lo acquista per 37 milioni e mezzo. Nessuno lo sa ancora, ma quel ragazzino magro come un grissino e dotato di un sinistro micidiale diventerà un campionissimo. Sbarca in Sardegna ed è subito tra i protagonisti della storica prima promozione in massima serie dei rossoblù, nel 1964. Il campionato d’esordio in Serie A lo vede confermarsi tra gli attaccanti italiani più promettenti grazie a 9 reti segnate. A fine stagione, arriva la convocazione nella Nazionale maggiore e il debutto contro l’Ungheria a Budapest. Fabbri lo aggrega con Bertini ai 22 selezionati per il Mondiale ’66, per fare esperienza. Nel torneo 1966-67 le sue prestazioni continuano a rubare l’occhio, così come le reti a grappolo. Durante la gara contro il Portogallo a Roma, si frattura la gamba sinistra in uno scontro con il portiere avversario. Un brutto colpo per l’ascesa del ragazzo varesino, in quel momento capocannoniere della Serie A con 18 reti. Nonostante l’infortunio non sarà raggiunto. Riva diventa così re dei bomber italiani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La gloria

Riva si riprende dall’incidente e lo fa a modo suo, a suon di gol. Ne segna 6 nelle eliminatorie per l’Euro 1968, Valcareggi lo schiera nella finale-bis contro la Jugoslavia e segna di sinistro l’1-0. L’Italia è campione continentale. Poco dopo, iniziano le qualificazioni per Messico ’70. Il cecchino di Leggiuno, stabilitosi ormai al centro dell’attacco dopo essere stato ala sinistra, continua a segnare a raffica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tanto nel Cagliari quanto in azzurro: arriva alla Coppa del Mondo in Messico osannato, era la risposta europea al grande Pelé. Tale reputazione gli deriva da altri due titoli consecutivi di capocannoniere, il leggendario scudetto con il Cagliari nel 1970 e il formidabile ruolino di marcia in azzurro. Alla vigilia del Mondiale, Riva conta ben 19 reti in 16 partite con la Nazionale. In quel momento, è lo sportivo più amato d’Italia, l’eroe che ha trascinato il tricolore su un’isola, il bomber che stende le difese a spallate e le bombarda in tutti i modi. Tranne che con il piede destro… Sfiora il Pallone d’Oro per due volte. Nel 1969 deve cederlo per un soffio a Rivera, l’anno dopo arriva terzo. Per le sue esultanze con i pugni chiusi e le braccia tese, lo sguardo malinconico, la fuga da ogni forma di protagonismo, diventa un beniamino pubblico anche aldilà dell’aspetto puramente sportivo. Cagliari e la Sardegna intera lo hanno eletto a proprio patrimonio, donandogli amore incondizionato. Un amore che non tradirà, rifiutando i grandi squadroni del Nord. I sardi riescono a fare breccia nel suo cuore triste e ferito da tante sofferenze. Non andrà più via dalla sua terra adottiva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sogno spezzato

In Messico, Riva soffre oltremodo l’altura e non riesce a sbloccarsi. Trova finalmente la rete con la doppietta ai padroni di casa nei quarti. Poi realizza la rasoiata del 3-3 nella meravigliosa semifinale con i tedeschi. In finale, gli azzurri possono solo inchinarsi al Brasile di “O Rey”. Qualche tempo dopo, a campionato ripreso, il Cagliari conferma di meritare lo scudetto sul petto. Dopo una schiacciante vittoria contro l’Inter a Milano, dove il Cagliari vince 3-1 con doppietta di Gigi Riva, il celebre giornalista Gianni Brera gli regala un soprannome leggendario: “Rombo di Tuono“. I sardi hanno superato il primo turno in Coppa dei Campioni e hanno battuto l’Atlético Madrid nell’andata del secondo turno. A quel punto, la Nazionale deve affrontare l’Austria al Prater di Vienna. Una brutale entrata da dietro dell’austriaco Hof gli frattura la gamba destra. È la seconda grave lesione in azzurro per Riva. Il sogno del Cagliari di lottare di nuovo per il tricolore si spezza in quel momento. Al ritorno contro l’Atlético, i rossoblù verranno eliminati dall’Europa.

Record e tramonto

Riva riesce a rimettersi in piedi, riprenderà a segnare iniziando però a perdere quell’aura di eroe invincibile. Colpa dei numerosi infortuni e di un Cagliari ormai lontano parente del periodo d’oro. Sebbene non sia più il miglior Riva, riesce nel 1973 a superare il grande Giuseppe Meazza in testa alla graduatoria dei bomber azzurri di tutti i tempi. Si issa in cima a quota 35 reti ed è rimasto lassù fino a oggi. Chissà fra quanto tempo qualcuno riuscirà a privarlo del record. Nel febbraio 1976, contro il Milan, subisce un brutto infortunio muscolare. Non si riprenderà più. Lascia il calcio dopo aver totalizzato 289 presenze e 156 reti in Serie A.

Seconda vita azzurra

Nel 1976 fonda a Cagliari la Scuola Calcio che porta ancora oggi il suo nome. Dopo essere stato presidente dei sardi nella stagione 1986-87, ritorna in Nazionale nel 1990, assumendo il ruolo di dirigente accompagnatore. Un’esperienza esaltante, culminata nel 2006 con il quarto titolo iridato in qualità di team manager. Per motivi di salute, ha dovuto lasciare l’incarico nel 2013. Nel 2005, a riprova del grande affetto di una città intera, gli è stata conferita la cittadinanza onoraria di Cagliari e il suo mitico numero 11 rossoblù è stato ritirato per sempre. Un onore riservato ai grandi.

Auguri, campionissimo.