Qualcuno potrebbe rimarcare che, atlante geografico alla mano, il Nuovo Galles del Sud e l’Asia non sono proprio parenti, ma i Western Sydney Wanderers si sono laureati campioni della AFC Champions League. Si tratta del primo successo di un club australiano nella storia della manifestazione, ed è anche una prova della crescita esponenziale della A-League, come campionato e come movimento.
È il trionfo dei Wanderers, fondati soltanto nel 2012 eppure capaci di far nascere, coltivare ed espandere un’agguerrita e caldissima schiera di fan – non i mangiatori di gamberetti tanto (poco) cari a Roy Keane, per intenderci – nell’ovest di Sydney, in quella Parramatta così spoglia e libera quando la stagione degli Eals nel rugby league volge al termine. Se assistessimo infatti a una partita interna dei Wanderers al Parramatta Stadium, crederemmo di essere nel Vecchio Continente, tra la curva pienissima e rumorosa e 90′ di incessante tifo, sostegno. Con tanto di Poznań Celebration, giusto per tenersi aggiornati con le ultime tendenze europee in fatto di tifo e infatti il tifoso australiano è così: ama e segue i campionati migliori al mondo e poi si spende dal vivo a sostegno della sua squadra locale.
Strepitoso il carattere di questi Wanderers, stremati e al limite del collasso fisico dato che la stagione australiana segue un calendario completamente diverso da quello della AFC Champions League: per intenderci, è come se il Chelsea avesse vinto la (nostra) Champions League giocando quarti, semifinale e finale in estate, in pieno precampionato. Anche perché poi i rossoneri ci sono andati decisi, consapevoli dei loro limiti: porta inviolata nelle gare interne, compattezza e cura dei dettagli nelle trasferte più terribili. Dove comunque il gol, di solito, arrivava, fosse in ripartenza o su rigore; tranne in finale, dove però lo 0-0 ha tenuto e Nikolai Topor-Stanley ha alzato al cielo il trofeo più ambito a est dell’Europa.
L’exploit di Western Sydney, certo un po’ macchiato da alcuni non fischi discutibili da parte dell’inadatto giapponese Yuichi Nishimura (che tra i 63 mila di Riyadh non si sarà fatto troppi amici), non oscura la grande stagione continentale dell’Al-Hilal, che in finale semplicemente non ce l’ha fatta, nonostante 25 tiri totali (ma solo 3 nello specchio). Non era giornata e forse non era destino: era il turno di un’australiana.
Era giusto, in fin dei conti, che nella prima squadra australiana a togliersi una soddisfazione a livello internazionale ci fosse un italiano. Compatriota di tantissimi emigrati giunti in Australia dal dopoguerra in poi: il calcio che incontra la storia.
AL-HILAL-WESTERN SYDNEY WANDERERS 0-0 (and. 0-1)
Al-Hilal (4-4-2): Al-Sudairy; Al-Shahrani, Digão, Kwak Tae-hwi, Al Abed (87′ Al-Dawsari); Thiago Neves (76′ Al-Shalhoub), Al-Dawsari, Pintilii, Al-Faraj; Kariri (57′ Al-Qahtani), Al-Shamrani. A disp.: Al-Thunayyan, Al-Zori, Al-Qarni, Al-Salem. All. Reghecampf
Western Sydney (4-5-1): Covic; Cole, Hammill, Golec; Poljak, La Rocca (77′ Spiranovic), Appiah K. (49′ Vitor Saba), Bridge, Haliti; Šantalab (58′ Juric). A disp.: Bouzanis, Trifiro, Mullen, Sotirio. All. Popovic
Arbitro: Yuichi Nishimura (Giappone)
Note – Ammonito: Covic (W). Spettatori: 63.763. Migliore in campo: Covic (W).