Tu sai difendermi e farmi male. Ammazzarmi e ricominciare.
Ammazzarmi e ricominciare.
Ancora. E ancora. E ancora una volta. All’infinito.
Questo è in poche parole — prese in prestito a un’indimenticabile canzone dei Subsonica del 2000 — il rapporto tra i tifosi rossoneri e il Milan di Inzaghi.
Perché sì, va bene l’entusiasmo, va bene “l’attacco più forte del campionato” e vanno bene anche i gol di Honda; ma la verità è che questo Milan è scevro da idee di gioco che si possano chiamare tali e tatticamente è un disastro, soprattutto nella fase della conduzione della palla e dello sviluppo della manovra offensiva.
La classifica inganna, per quanto possa essere positivo un sesto posto a quattro punti dalla Roma e a sette dalle Juventus. Probabilmente, viste le premesse del precampionato, ci si poteva aspettare di peggio e il tifoso si accontenta di stare davanti a Inter e Napoli. La verità è che la graduatoria provvisoria della Serie A è figlia di due sole importanti vittorie, quelle contro Lazio ed Hellas Verona, arrivate giocando spudoratamente in contropiede, da provinciale vera.
Ecco, se dobbiamo trovare un merito a Inzaghi, sicuramente l’aver inculcato nella testa dei giocatori una sorta di umiltà nello scendere in campo rendendosi conto di non essere più una squadra che fa paura soltanto pronunciandone il nome è stata una grande mossa. Ha spinto tutti, o quasi, a impegnarsi al 100% anche contro squadre che ipoteticamente avrebbero potuto spingere a rilassarsi mentalmente più del dovuto.
Ma, probabilmente, è l’unico merito di una gestione tecnica apparsa fin qui anche troppo zoppicante.
Parlando di tattica: l’aspetto più preoccupante di questo Milan è la mancanza di un gioco che possa definirsi tale. Le sberle prese in fase di costruzione tra luglio e agosto nei campi di mezza America ha, con tutta probabilità, spaventato Inzaghi a tal punto da concentrarsi quasi solo esclusivamente alla fase difensiva, che attualmente il Milan svolge con DIECI giocatori di movimento dietro la linea del pallone. Ossia tutti. Capirete da soli che questa non si chiama “bravura nella fase difensiva”, ma semplicemente “occupazione degli spazi, intasando le linee di passaggio”.
L’aver concentrato così tante forze lavoro nella propria metà campo, poi, ha di fatto demineralizzato la fase offensiva, rendendola, nell’ordine: sterile, prevedibile e scarna. Quanti gol del Milan ricordate arrivati con un’azione sviluppata contro una difesa schierata? A memoria direi uno: quello di Torres contro l’Empoli. Gli altri o su calcio piazzato o su azione di contropiede.
Perché, è inutile che ci giriamo intorno, il Milan di Inzaghi è una squadra capace di giocare solo in contropiede.
Il sintomo più evidente è la complessità nel far partire l’azione da dietro, dalla difesa. Il centrale difensivo ha due scelte: o allarga il gioco sul terzino, che a sua volta cerca l’ala di riferimento (Honda a destra, Ménez o El Shaarawy o Bonaventura a sinistra) oppure dà palla a de Jong, che si abbassa a ricevere lo scarico, che poi la dà a Poli o a Muntari, che a loro volta allargano il gioco sull’ala di riferimento. Basta un pressing organizzato come quello mostrato dalla Juventus, dall’Empoli e dal Cesena per mandare tutto il meccanismo all’aria e il gioco — per gli avversari — è fatto: palla al portiere e rinvio lungo, carico di speranze.
Ecco, probabilmente il punto è proprio qui: quello che Inzaghi sta cercando di far passare come un gioco studiato in allenamento in verità è un affidarsi all’invenzione dei singoli sulle fasce. Una volta recapitata la palla all’ala di turno, si aspetta una sovrapposizione del terzino o un dribbling del portatore, creando in uno dei due modi la superiorità numerica necessaria a costruire i presupposti per un’azione pericolosa.
L’idea del “falso nueve” con Ménez ha avuto un senso fin quando il francese è andato in aiuto di de Jong centralmente e ha creato una valida alternativa allo scarico laterale. Ma fin quando la punta di riferimento, che sia l’ex PSG o Torres o Pazzini, non verrà coinvolta nella manovra, questa sarà sottoposta a figure insufficienti, spesse volte non per demeriti propri, ma del sistema di gioco previsto dal mister.
Il ritorno di Montolivo al posto di Poli potrà mitigare in parte questa situazione: questo Milan non è stato pensato per comandare il gioco, ma solo per subirlo.
Ultimo appunto, i singoli: oltre a palesare una deficitaria elasticità tattica, Inzaghi sta fallendo anche nella gestione dei singoli giocatori. L’unico che è riuscito a recuperare è Abate, che dimostra una condizione fisica sopra la media e riesce con la corsa a recuperare i propri difetti di natura tattica. Per il resto, fallimenti: Diego Lopez si è infortunato e si è ritrovato Abbiati di nuovo davanti, El Shaarawy gioca, ma mentalmente non c’è, Torres non sente la fiducia che dovrebbe avere per sentirsi davvero importante e Ménez è stato talmente idolatrato che è a rischio effetto boomerang.
E poi, il tasto davvero dolente: Mattia De Sciglio. Le sue prestazioni sono al limite della credibilità.
È forse possibile che quello che tutti avevano descritto come il “nuovo Maldini” non sia altro che un semplice e onesto mestierante? Insistere su di lui sta diventando controproducente.
Inzaghi non si fidi della classifica e pensi di più al gioco del suo Milan: se è lì è soprattutto grazie agli scivoloni delle avversarie.