A San Siro la paura fa novantesimo
Una partita mollacciona. E mollaccione Mazzarri e mollaccione Benítez. Con due squadre che hanno preso forma e spirito dai loro rispettivi tecnici.
Questo potrebbe essere un perfetto riassunto dell’Inter-Napoli vista a San Siro qualche ora fa.
E sia ben chiaro che non è un’offesa, ma una descrizione che difficilmente può essere più dettagliata. Per il vocabolario Treccani — personale punto di riferimento per i dubbi linguistici — il significato è “Persona lenta nei movimenti, indolente, apatica”. Ora ditemi: non è la precisa descrizione delle due compagini viste in campo a Milano?
Una partita che “sarebbe dovuta essere quella della rinascita” per entrambe è piano piano passata a “quella che avrebbe potuto essere quella della rinascita, ma un pareggio alla fine va anche bene, suvvia, ce lo teniamo”.
Trovate l’errore.
La capacità di Mazzarri di modellare l’umore del tifo nerazzurro in soli dieci minuti (quelli finali) è davvero da grande mentalista. È riuscito, di nuovo, a evitarsi una valanga di critiche portandosi a casa un 2-2 da oratorio, per velocità di gol segnati dalle due squadre negli ultimi minuti. Passeranno di nuovo in secondo piano l’incapacità di creare azioni pericolose nonostante la supremazia territoriale del primo tempo — dando ragione a chi, come il sottoscritto, lo reputa capace di organizzare azioni pericolose solo in contropiede — e la precaria condizione atletica dei suoi, che ha causato le distrazioni delle reti subite e, prima ancora, una pericolosa spaccatura in mezzo al campo tra i due reparti di attacco e di difesa in cui i poveri Hernanes, Medel e Kovačić hanno annaspato per buona parte della ripresa.
Dall’altro canto, Benítez non è che se la passi meglio. Venuto a Milano nel miglior momento possibile per incontrare l’Inter, povera di risultati e di autostima, e sceso in campo dando ordini precisi ai suoi undici di non superare — mai e per nessun motivo — la metà campo. Come buttare l’iniziale vantaggio psicologico della gara nel cestino, facendosi aggredire dalla paura di perdere.
Ed è stata proprio la paura di perdere ad attanagliare le gambe dei ventidue in braghe corte per ottanta minuti: pochi slanci, poche idee, poche corse; tanta confusione, tanti errori e tanta noia.
Ma per fortuna l’arte chiama arte e, mentre a qualche centinaia di chilometri di distanza — per la precisione a Lione — Yoann Gourcuff dipingeva calcio segnando una doppietta al Montpellier, la Scala del Calcio ha risposto all’invito del francese numero 8 e ha regalato dieci minuti di vero e proprio spettacolo: come se la paura di perdere avesse lasciato spazio alla paura di non vincere, che, anziché stringere le gambe dei giocatori in una morsa letale, le ha sospinte fino a segnare quattro reti in veloce successione.
Un successo per il gioco, per quell’arte che è il calcio.
Un peccato, però: perché se, anziché guardare quella tela bianca con la paura di sbagliare colore, Inter e Napoli avessero iniziato a dipingere fin dall’inizio, probabilmente ora staremmo ammirando un capolavoro.
Ma che ci volete fare? Non tutti nascono Yoann Gourcuff.