Home » Mourinho: “L’anno scorso sentivo che tutta l’Inghilterra voleva che il Liverpool vincesse il campionato”

Mourinho: “L’anno scorso sentivo che tutta l’Inghilterra voleva che il Liverpool vincesse il campionato”

José Mourinho ha raccontato molti aspetti interessanti della sua carriera in una lunga intervista fatta con Gary Neville, ex giocatore del Manchester United, per il Telegraph. Ecco gli argomenti più significativi trattati dall’allenatore portoghese.

Mourinho ha iniziato parlando della scorsa stagione e in particolare del Liverpool: “Nella scorsa stagione sentivo che tutto il Paese voleva che il Liverpool vincesse il campionato. Nessuno diceva che loro erano favoriti dal fatto di non giocare la Champions, nessuno parlava delle tante decisioni che li hanno favoriti durante l’anno. Il giorno che li abbiamo sfidati era tutto pronto per la loro celebrazione e ho detto ai ragazzi: ‘Vogliono che facciamo i pagliacci nel circo. Il circo è qui, il Liverpool deve vincere la Premier. Voi non volete sia così vero?’ Mi risposero di no. Ci costrinsero a giocare la domenica anche se avevamo una semifinale di Champions da giocare. Avessimo giocato di sabato, magari saremmo scesi in campo con un altro spirito…”.

Poi lo Special One ha ricordato di quando alla guida del Porto eliminò il Manchester United dalla Champions League nel 2004: “Quando ricordo la mia esultanza con il Porto, la notte in cui eliminammo lo United in Champions nel 2004, la cosa più bella che mi viene in mente è che l’anno scorso ho fatto esattamente la stessa cosa contro il Psg e quest’anno spero di rifarlo ancora. Cioè quella gioia non era di un allenatore che sentiva che qualcosa stava cambiando nella sua carriera, ma semplicemente era parte di me, a volte non controllo l’emozione, la felicità. Quando ero suo assistente al Barcellona, Bobby Robson di solito diceva ai ragazzi di non essere tristi quando avevamo perso una partita. ‘Non è la fine del mondo’, diceva. Io non ero d’accordo con lui.

Mourinho ha proseguito parlando della sconfitta del Chelsea con il Crystal Palace nel finale dello scorso campionato che di fatto ha estromesso i blues dalla lotta per il titolo: “Nella mia carriera ho imparato a rispettare quelli che meritano di vincere. L’anno scorso, quando abbiamo perso col Crystal Palace, volevo ammazzare i miei ragazzi. Ma sono andato nello spogliatoio degli avversari a congratularmi uno per uno con loro. Il nostro era un problema di mentalità: vinci oggi, domani e poi domani ancora. Da una parte è un’abitudine, dall’altra ti stanca perché ogni giorno hai delle responsabilità. E molti dei miei giocatori l’anno scorso, non erano in grado di affrontarle.

Tra gli argomenti più interessanti trattati nell’intervista c’è anche la crescita del giovane talento belga Eden Hazard: “Eden è un giocatore fuori contesto al momento. È un ragazzo, umile, molto umile. Molto gentile e zero egocentrico. È fantastico. Ho parlato con il padre e mi ha detto una cosa che ho apprezzato molto: ‘Ho un figlio meraviglioso, è un padre meraviglioso, un marito meraviglioso. Io voglio che cambi, perché voglio che sia un giocatore meraviglioso. Voglio che sia lo stesso marito, lo stesso padre, lo stesso figlio, ma con più tenacia, cattiveria, più ego anche. E lei può dargli queste cose’. Ma in realtà non possiamo mai trasformare questi giocatori fantastici in animali o macchine da competizione. Ad Hazard l’ho detto: ‘Non essere felice quando fai delle belle giocate: devi fare qualcosa che ci faccia vincere le partite’.

Infine all’ex allenatore dell’Inter è stato chiesto come avesse scelto le tappe della sua carriera e quali fossero i suoi progetti futuri: Ho sempre avuto un progetto. Volevo lasciare il Portogallo e andare in Inghilterra. Poi volevo a tutti i costi l’Italia, per la mentalità degli italiani e l’aspetto tattico del gioco. Poi volevo la Spagna, anzi il Real Madrid. Questa è la prima volta che non ho in programma la mossa successiva. Voglio restare finché il Chelsea non mi dice che è finita. Tra le cose che restano per sempre nella carriera di un allenatore ci sono i giovani che diventano grandi. Con me Varane, che ho lanciato a 18 anni, e Santon a 17. La sua seconda partita fu contro lo United in Champions. Carlos Alberto ha segnato a 18 anni in una finale di Champions. Queste cose restano per sempre.