“Quando Dio non vuole, i Santi non possono”

Non si placano le polemiche dopo le dichiarazioni di Morgan De Sanctis alla Gazzetta di ieri. Sui social network ognuno dice la propria, in un gioco delle parti che non lascia spazio a sorprese di alcun genere.

Ma cosa ha detto realmente, e cosa invece è stato percepito? La cosa non è di importanza secondaria, perché il 37enne portiere della Roma è rappresentate degli atleti nel direttivo della FIGC (un rappresentante in quota all'”opposizione”: giova ricordare che il candidato dei giocatori era Albertini, non Tavecchio). Le sue parole sempre sono pietre, non tutti i concetti sono esattamente in accordo l’un l’altro, e a quell’età non c’è neanche più l’alibi dell’inesperienza. Cominciamo.

«Il calcio è lo specchio del Paese»: sarà il mio pessimismo, ma qui forse il portiere romanista pecca persino di ottimismo. Il calcio è bloccato, il paese è bloccato; il movimento è senza idee né risorse, come il paese; le istituzioni sono “occupate”, così come la politica; tutto viene ridotto a calcolo. E fin qui ci siamo. Ma, in certi casi, il calcio è peggio: basta pensare che lanciare un fumogeno in uno stadio è normale, farlo per strada mi porta dritto in gattabuia (e per fortuna). Insomma, il calcio vive di licenze, e non è un bene.

«Bisogna saper perdere, ma si fa fatica ad accettare certe decisioni perché si ha la sensazione di non giocare ad armi pari»: la pietra dello scandalo, la frase che ha acceso ogni “discussione”. Detta anche bene, come frase: non c’è la certezza, bensì la sensazione. Difatti nessuno ha davvero notato il concetto successivo, mirato sempre a riflessioni psicologiche più che fattuali: «Non parlo di furti, intendo dire che [gli juventini] dovrebbero ammettere di essere stati fortunati e non trincerarsi dietro la tesi dell’accerchiamento»: non c’è male. Anche se un attacco del genere finisce per rinforzare esattamente la tesi che si ritiene sbagliata.

Sugli arbitri: «credo che il ruolo dell’arbitro sia il più difficile. Prima di Calciopoli la classe arbitrale era poco libera nei fatti, l’attuale invece è libera e bisogna concedere loro l’errore. Non c’è disonestà intellettuale, ma purtroppo il sistema italiano si muove con leggi non scritte in cui il potente ha sempre ragione e gli si può concedere tutto»: si torna allo specchio del Paese, ed è notevole che un pensiero del genere venga da un giocatore che non solo ha vestito (brevemente) la maglia juventina, ma comunque gioca in una squadra che è più tutelata (parole sue) di una Udinese, per dire.

Il tifo violento «È un problema istituzionale: chi fa cose sbagliate deve essere punito. In carriera ho visto società conniventi»: ne abbiamo parlato su questi schermi non più tardi di due settimane fa, e non era certo un mistero. La cosa peggiore è che non è cambiato granché, se Genny ‘a Carogna può fermare una partita, e se lo stesso De Sanctis ammette di aver dovuto parlare ai tifosi.

E qui viene comunque la contraddizione maggiore, se De Sanctis davvero crede che «la parte migliore del mio mondo restano sempre i giocatori e i tifosi»: se davvero è così, allora qualcosa non quadra (ed è inutile continuare a parlare di frange impazzite e simili: smettiamola col buonismo di sentirci un paese di santarelli, rovinato da pochi manigoldi).

Forse bisognerebbe pensare questo: che, dopo un’uscita del genere, il clima non è migliorato per nessuno. Per la Roma («a Torino abbiamo dimostrato di essere meglio di loro» è un bel fardello da portare), per la Juventus (che ha un motivo in più per sentirsi attaccata, e quindi per fare quadrato), tantomeno per gli arbitri (la loro malafede o la loro inadeguatezza è stata affermata e istituzionalizzata una volta di più).

Nessuno ha riflettuto su queste (e altre) parole, tutti si sono sentiti in dovere di ribadire che gli altri sono più sbagliati di noi. Su questo, De Sanctis ha sacrosanta ragione: il calcio è lo specchio del Paese, e difatti non vuole saperne di cambiare. Si dicono cose non necessariamente comode (e anche, ribadiamolo, non necessariamente giuste), ma poi si ribatte solo per partito preso. Siamo fermi. Lo dice un vecchio proverbio, che quando Dio non vuole, i Santi non possono. Men che meno i De Sanctis, evidentemente.

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Pietro Luigi Borgia