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A volte è difficile fare andare d’accordo le stesse proprie idee. La logica delle cose, a volte, diverge in sensi opposti. Laddove le differenti fazioni in gioco si spaccano nell’una o nell’altra direzione, la testa ti suggerisce che la posizione giusta è una, ma è contraria ad alcuni dei tuoi principî. Stiamo parlando dello scontro a distanza sulla violenza negli stadi: il governo ha approvato un contributo dalle società per la sicurezza, il movimento calcistico risponde picche.

Ad aprire le schermaglie è stato un tweet del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha detto in modo inequivocabile che «Gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate negli stadi devono essere pagati dalle società di calcio, non dai cittadini». Apriti cielo, con il presidente federale Tavecchio che chiede un confronto per evitare «inutili demagogie», Abodi che risponde (sempre via Twitter) «Penso sia una cosa inaccettabile per un sistema che paga un miliardo di euro di tasse. Demagogia insostenibile!», Macalli che minaccia lo sciopero, mentre il presidente del CONI, Malagò, in modo più equilibrato parla di bilanci da rifare e «ridisegnare un vero rapporto con tutto il sistema calcio».

Lo ripeto e lo ribadisco: non è facile prendere posizione, anzitutto con se stessi (cioè con me stesso). Perché non provo simpatia né per il governo né per le istituzioni sportive, quindi salta un “facilitatore” per la decisione; peggio che peggio, perché ho legittimi dubbi su entrambe le parti in causa. Per esempio: per finanziare la misura, è previsto il pagamento di una percentuale sugli incassi al botteghino. Si tratta quindi di una misura per risparmiare, o per incassare? Perché usare un decreto per una misura del genere, qual è l’urgenza?

Poi però ritorna alla memoria La palla non è rotonda, un quaderno speciale della rivista «Limes, rivista italiana di geopolitica» uscito nel non troppo lontano 2005, eppure attuale quando non profetico. Tra i vari argomenti c’era anche il peso relativo di Francia e Inghilterra nello scacchiere mondiale (con le federazioni delle ex colonie, anche le più minime, si aumentano i voti a propria disposizione nella FIFA), un male del calcio mondiale; ma tutta la prima sezione era dedicata al pallone tricolore.

E torna alle mente, ancora vivido, Sorpasso in curva Nord, l’articolo scritto da Gianremo Armeni sulla connivenza tra tifoseria organizzata e criminalità. Dico subito: lungi da me una identificazione totale dell’una cosa con l’altra: sicuramente la maggior parte dei tifosi organizzati non ha secondi fini, secondi interessi, né secondini a controllare. Ma basta un Genny ‘a carogna per capire che la rilevanza numerica e quella “politica” del fenomeno fanno impressione (una persona, una sola, può fermare uno stadio intero). O basta conoscere la storia di Diabolik.

Uno dei fatti è che le società di calcio, fino a oggi, hanno avuto un interesse relativo o nullo nel frenare certe derive. Esempio pratico: Cragnotti foraggiava i tifosi, Lotito no (e per questo ha ricevuto anche minacce di morte). Zamparini potrà anche lamentarsi del fatto che «il calcio paga più di un miliardo all’anno di tasse e in cambio non riceve niente», ma sbaglia bersaglio: non è con il governo che deve prendersela, ma con chi ha governato il pallone e le società fino a oggi. Se non si è disposti a pagare, adesso la soluzione sarà nell’“educare” la tifoseria a non danneggiare la società.

Da questo punto di vista, comunque sia, almeno Malagò ha preso una posizione ragionevole: se si cambiano le carte in tavola, diventa difficile poi portare avanti qualsiasi progetto: tecnico o politico, o anche economico. Perché chi parla di bilanci da riscrivere si regola in modo pragmatico, mentre chi accusa di demagogia sta facendo politica. In un paese che non ha più progetti politici, in un sistema calcio che non ha più progetti. Demagogia, portami via.