Settimana scorsa abbiamo citato Mogol e la voce di Mina per descrivere il Milan di Milan-Juventus; oggi scomodiamo nientepopodimenoché Seneca, che tanto non è che può scriverci per protestare. Se ne farà una ragione.
È da poco finito il derby probabilmente più sentito di tutta Italia, uno strepitoso Genoa-Sampdoria. E non consideriamo risultato — povero, a dire il vero — né errori tecnici o statistiche ai minimi storici. Davanti a una partita così parte un bel “chissenefrega” a tutto ciò che non sia passione, ardore, intensità e amore per il calcio.
Sono mesi che invidiamo la velocità e le emozioni del calcio inglese e di quello tedesco e a un tratto ci rendiamo conto di averlo anche noi in casa, pur se in minima parte.
La citazione alla celeberrima frase di Seneca — poi riutilizzata in varie occasioni da diversi personaggi nel corso della storia — è di quelle calzanti. “Vivi ogni giorno della tua vita come se fosse l’ultimo”, che traslata nel mondo dei ventidue uomini in braghe corte che rincorrono un pallone diventerebbe “vivi ogni minuto della tua partita come se fosse l’ultimo”. Ed è esattamente quello che è successo al Ferraris un paio d’ore fa.
Partendo dalla meravigliosa cornice di pubblico — e mai come in questo caso ci sembra azzeccata la parola “cornice” — e passando attraverso i 90 minuti di fuoco, passione e fede che hanno animato la fresca serata genovese. Ogni singolo spettatore ha cantato e incitato i suoi beniamini dall’inizio alla fine, nella vittoria e, soprattutto, nella sconfitta. Così come ogni singolo giocatore ha messo in campo tutta l’energia che aveva in corpo, così al primo minuto come al novantesimo. Un’intensità mai doma, sempre a correre sul filo della tensione. A volte sfogata in un’entrata poco ortodossa, forse, ma mai con l’intenzione di ledere l’avversario. Nemici, sì, ma leali.
Ed è incredibile come possa bastare una sola partita — a prescindere da chi vinca e da chi perda — a risvegliare in noi quel piacere di vedere e di gustare una partita di calcio. Un calcio, il nostro, che forse ci ha abituato troppo male. Un calcio italiano che con la sua indolenza e la sua lentezza ci ha provocato un “appannamento” del tifo, che è, invece, ciò di cui noi spettatori abbiamo più bisogno.
Il tifo è quello che ci manda avanti, che ci fa andare allo stadio, che ci unisce tifandoci contro. È la fiamma stessa del gioco del calcio. Quindi ben vengano le partite come Genoa-Sampdoria, ben vengano ventidue atleti che lottano e sputano fatica per far felici i propri tifosi. Ben venga il vero gioco del calcio.
Chiudiamo con una duplice citazione: la prima, quella principale, di De André; la seconda, non meno importante, del mio amico @Python_00, che me l’ha fatta tornare in mente.
“Il tifo è il bisogno di schierarsi in un partito, simbolizzato magari da un colore, ma che si pretende essere sostenuto da una tradizione o da una cultura diversa da quella degli altri”.