Sono passati ormai più quattro anni da quando, nel luglio 2010, i Mondiali di calcio sudafricani hanno calato il sipario: ricorderemo quella rassegna intercontinentale per il primo successo nella storia della Spagna, sino ad allora la perdente di lusso per eccellenza, e per le brutte prestazioni degli azzurri, culminate con l’uscita addirittura ai gironi – quando poco meno di un lustro prima alzavamo la Coppa al cielo – contro una modesta Slovacchia. Nulla da celebrare o incensare, tuttavia il punto attorno al quale vorrei costruire questo editoriale, prendendo spunto da un notevole approfondimento del “The Guardian” dei giorni scorsi, è un altro. Mi e vi pongo una domanda: cosa è rimasto in eredità al Sudafrica e ai sudafricani? Ma soprattutto… ne è valsa la pena?
Sicuramente adesso sono presenti nel Paese impianti abnormi per quelle che sono le richieste della maggior parte delle società calcistiche del paese, uno squilibrio logistico che finisce per pesare sulle casse dei club, costretti a pagare costi di manutenzione al di fuori delle proprie possibilità. Fatta eccezione per i due club più popolari del paese, Kaizer Chiefs e Orlando Pirates, tutte le altre squadre non attirano molti spettatori allo stadio, e questo incide ovviamente sul ritorno economico derivante da sponsor e diritti televisivi. Si è calcolato che, in Sud Africa, vi è una media spettatori all’incirca compresa tra i 500 e i 5.000 taglianti a partita; le due società più grandi, invece, attirano cornici di pubblico spesso superiori alle 50.000 unità, una forbice troppo ampia per far sì che gli interessi di entrambe le tipologie di “aziende” vengano soddisfatte.
Ma perché il calcio sudafricano non è seguito dal proprio popolo, nonostante sia stato provato più volte che a loro il “soccer” non dispiaccia poi così tanto? Semplice: la competitività e lo spettacolo sono limitati. Sempre nell’articolo del quotidiano britannico si cita il capocannoniere dello scorso torneo, Bernard Parker, autore di dieci reti. Il problema è che egli è rimasto miglior marcatore anche saltando gli ultimi tre mesi di campionato per infortuni, sintomo che i grandi giocatori non vogliono venire a giocare in questo paese ed è lo spettacolo a risentirne: tutto questo mentre la Nazionale continua nel suo momento no, avendo mancato tutti gli obiettivi possibili e immaginabili.
Il resto dei problemi giungono di conseguenza, perché poca competitività significa poche persone allo stadio, pochi ingressi nei propri impianti comportano scarsi incassi dal botteghino e quindi poca possibilità di investire, rendendo vana la competitività della propria azienda sul mercato più importante, quello dei diritti tv. Per spendere soldi e andare a vedere due squadre mediocri, senza nemmeno la garanzia del divertimento, nell’ideologia del sudafricano medio tanto vale restare a casa e guardare lo sport sulla tv via cavo, comodi sul divano, dato che moltissime partite di Premier League, Liga e Serie A vengono regolarmente proiettate fine settimana. In un paese in cui sono appena stati costruiti molti stadi ultramoderni, con capienze che servirebbero a colmare persino la domanda di paesi avanzati – o presunti tali – come il nostro, beh allora apparentemente sembrerebbe che organizzare un Mondiale in un paese che non vanta una grande tradizione calcistica sia un autogol pazzesco. Anche perché i costi spesso vengono accollati agli enti locali, dato che le società non sono assolutamente in grado di contribuire nella totalità della spesa.
Apparentemente. La realtà è un’altra, specie se la si osserva sotto altri punti di vista: soprattutto quello sociale e pedagogico, lo sport riempie costantemente le nostre vite anche perché è una valvola di sfogo, ma per chi è destinato a condurre una vita familiare tutt’altro che agiata si trasforma in una possibilità di ascesa culturale ed economica, di quelle che capitano solo una volta nella vita. Fattori non secondari, e sappiamo quanto il Sud Africa sia sensibile a queste tematiche; resta pur sempre il paese dell’indimenticato Nelson Mandela.
E il messaggio che giunge dalla South Africa Football Association (Safa) non può che essere interpretato nella maniera positiva: un qualcosa che suona come “il talento lo abbiamo, le strutture pure, non ci resta che mettere in atto un programma di sviluppo per far sbocciare i nostri talenti e, magari, puntare a più che una normalissima qualificazione ai Mondiali under 17 e 20“. I giovani e lo sport, un binomio che farebbe sorridere anche il più cupo degli essere umani; e se 2,4 miliardi di dollari, il denaro necessario per costruire e organizzare tutti gli stadi di Sudafrica 2010, non sono assolutamente uno scherzo beh nemmeno i sogni dei più piccoli lo sono. Perché per rendere questi piccoli degli adulti felici e realizzati, continuare a sognare anche da uomini è fondamentale: magari ricordandosi di quando, a sei anni, per la prima volta i tuoi genitori ti portarono a vedere una partita di calcio. Anzi la partita di calcio per eccellenza, la finale dei Mondiali.