“Oggi è il giorno più felice della mia vita”
Questa è la sintesi delle dichiarazioni di Alan Jones, dopo aver visto il suo compagno di scuderia Carlos Reutemann, perdere il Mondiale piloti nel 1981 contro Nelson Piquet per un solo punto.
Oggi i piloti sono molto più formali e difficilmente sentiremo Hamilton o Rosberg, a fine anno, pronunciare una simile frase. Sicuramente lo stato d’animo di uno dei due sarà però molto simile a quello espresso all’epoca dal pilota britannico.
Che il compagno di squadra sia il primo avversario è una verità accettata nel mondo della Formula 1 e quest’anno possiamo assistere a una vaga rappresentazione di celebri duelli che in passato hanno caratterizzato interi campionati mondiali.
La concorrenza interna è sovente un’ulteriore benzina per un pilota, teso a superare il limite per dimostrare prima di tutto alla sua scuderia di essere degno di indossare i galloni da capitano. A volte , però, come il caso Reutemann-Jones dimostra pienamente, si è trasformata in una clamorosa faida interna che ha finito per nuocere in primo luogo proprio alla casa costruttrice.
Negli occhi di tutti gli appassionati sono ancora vivide le immagini del finale di campionato a Suzuka nel 1989, quando avvenne un controverso contatto fra Ayrton Senna e Alain Prost, grazie al quale il francese si laureò campione del Mondo.
La McLaren vinse il Mondiale, ma perse Prost che, complice l’impossibile convivenza con il brasiliano, decise di migrare in Ferrari. L’anno dopo, sempre a Suzuka, fu Senna a “vendicarsi” di Prost, con una manovra ai limiti del regolamento che eliminò il ferrarista dalla gara e dalla lotta al titolo. Nel 1991, dopo il terzo titolo mondiale, il campione di Sao Paulo ammise di averlo fatto deliberatamente. La contesa proseguì oltre i cordoli e le tribune: come rivelato da Cesare Fiorio, anni dopo, la Ferrari ottenne l’assenso di Ayrton Senna per un clamoroso passaggio alla scuderia di Maranello, vanificato però dal veto assoluto posto proprio da Alain Prost.
Il finale di una contesa tanto epica non poteva che essere struggente e poetico. Dopo la pace ad Adelaide nel 1993, giorno del ritiro di Prost, durante un giro di prova nel Gran Premio di Imola del 1994, Senna, in collegamento con una TV francese, a sorpresa si rivolse al suo rivale, presente come telecronista con un toccante “We all miss you, Alain” (ci manchi, Alain). Pochi giorni dopo, fra i piloti che condussero la bara del brasiliano fuori dalla Chiesa, figurava anche Alain Prost.
Il campione francese in carriera non ebbe mai idilliaci rapporti con i compagni di squadra. A inizio anni ’80 diede vita in Renault a una contesa tutta transalpina con René Arnoux; culminata nel Gran Premio di Francia del 1982 in cui Arnoux arrivò primo al traguardo e ignorò, secondo quanto sostenuto da Prost arrivato secondo, gli ordini di scuderia.
In Ferrari invece si trovò a battagliare con Nigel Mansell che, nel già ricordato Mondiale del 1990, non si prestò al ruolo di gregario per aiutarlo a ottenere l’alloro Mondiale come molti tifosi avrebbero voluto. La gara in Portogallo, con la manovra dell’inglese che in partenza lo strinse contro il muretto, gli fece perdere punti preziosissimi per il cammino mondiale.
Queste lotte trasversali palesano spesso il loro lato paradossale. Nel 1986, infatti, fu anche grazie ai contrasti fra un giovane Mansell e un esperto Piquet in seno alla Williams se Prost, come il “terzo incomodo” del proverbio, potè godere i frutti dei loro litigi vincendo il secondo Mondiale di fila.
Uno sport come la Formula 1, in cui l’individualismo del pilota è costretto a convivere e a collidere con quello del compagno di squadra, è destinato a fornire sempre esempi di contese e rivalità dentro e fuori dalle piste.
Il compendio di ciò che esse dovrebbero essere si trova nella risposta che David Purley, dopo aver tentato invano di salvare dalle fiamme il suo compagno di squadra Roger Williamson davanti ai commissari impietriti dal terrore, diede a una domanda relativa al suo “amico” Williamson:
“Non era mio amico: la veritá era che Roger lo conoscevo appena, altro che amico. Ma in quel momento, tentare di salvarlo era il mio dovere”