Il Gran Premio di Monza spicca per essere uno dei circuiti più antichi dell’attuale Formula 1, nonché il più veloce, con il record di 257,320 km/h stabilito da Rubens Barrichello nel 2004.
Sebbene la sua configurazione originaria, del 1922, abbia subito numerose modifiche il suo nome evoca ancora il fascino di sfide epiche.
Gloria e tragedia paiono intrecciarsi indissolubilmente tra le sue curve e le sue chicane, come in un paradigmatico rimando alla storia stessa dell’uomo, fatta di trionfi e cadute.
A Monza non sono mancate vittorie eccezionali, bilanciate spesso da incredibili disfatte. Impossibile dimenticare il ritiro di Jean Alesi nel 1995 quando, a pochi giri dalla fine, dovette abbandonare la gara per la rottura di un cuscinetto, tra la costernazione dei numerosi tifosi Ferrari.
Alle vittorie e alle sconfitte si affianca il tributo di sangue che gli sport motoristici hanno versato negli anni.
L’autodromo detiene il tristissimo record dell’incidente più grave mai accaduto durante una gara di Formula 1. Nel 1961 Wolfang “Il Barone” Von Trips, a seguito di una collisione con Jim Clark, perse il controllo della sua vettura e, distruggendo le reti di protezione, piombò contro gli spettatori accalcati a bordo pista. Oltre al pilota rimasero uccise quindici persone.
Un fatale presagio di questa carneficina si ebbe nel 1928, quando Emilio Materassi uscì di pista schiantandosi sul prato dove molti sostenitori si erano radunati. In quel caso i morti furono una ventina.
Due incidenti mortali si stagliano però nella memoria degli appassionati, per la loro tragica unicità.
Il primo coinvolse Jochen Rindt, che perse la vita in uno schianto all’uscita della Parabolica nel 1970. Le cause precise della disgrazia non vennero mai provate, sebbene molti avessero puntato il dito contro la fragilità strutturale delle Lotus. Il pilota austriaco, unico caso nell’albo d’oro, venne incoronato Campione del Mondo dopo la morte, grazie ai punti accumulati durante la stagione.
Nel 1979 fu invece Ronnie Peterson a rimanere coinvolto in uno spettacolare tamponamento di cui furono protagoniste numerose vetture.
Il campione svedese, da molti considerato “Il Re di Monza” per la capacità e l’abilità di saper guidare la monoposto sui rettilinei e le curve di quella pista, per uno strano gioco del destino trovò la morte proprio sul circuito da lui tanto apprezzato.
Divamparono violente polemiche, sia in pista, con l’ingiusta accusa a Riccardo Patrese di essere il responsabile del botto; sia fuori pista, indicando nell’imperizia dei medici la principale ragione della morte, avvenuta il giorno dopo per embolia.
Poiché il Fato sembra spesso giocare con le vite degli uomini, rimangono alcuni particolari che rendono ancora più straziante il ricordo. L’unica figlia di Peterson, Nina, venne chiamata così in onore della moglie proprio di Jochen Rindt. La compagna dello sfortunato pilota scandinavo, Barbro, dilaniata dal dolore non superò mai completamente la sua perdita: morì suicida otto anni dopo.
Crocevia fra passato e presente, sull’asfalto del circuito brianzolo si sono messi in mostra tutti i grandi nomi che hanno contribuito a rendere affascinante l’epopea della Formula 1.
Da Nuvolari a Schumacher, passando per Juan Manuel Fangio, Alberto Ascari, Stirling Moss, Nelson Piquet, Alain Prost fino a Sebastian Vettel e Fernando Alonso, quasi tutti i grandi campioni hanno gioito sotto la bandiera a scacchi lungo il rettilineo finale.
Domenica altri piloti sono chiamati a raccoglierne l’eredità.
I due alfieri della Mercedes, Hamilton e Rosberg, sembrano i favoriti, ma, come dimostrato a Spa-Francochamps, la rivalità che ormai li divide rischia di creare nuovi sconvolgimenti in un campionato che pareva già assegnato.
Dietro di loro scalpitano Ricciardo e Vettel su Red-Bull e Valtteri Bottas, su una Williams che, su questo tracciato, potrebbe riservare qualche sorpresa.
La storia del Gran Premio di Monza è pronta ad aggiungere una nuova pagina al suo glorioso volume.