Mancano solo le visite, poi sarà ufficiale: è Fernando Torres il dopo Balotelli, è El Niño il nuovo attaccante del Milan.
Come spesso accaduto in questi anni, seguendo un trend non proprio positivo in termini di immagine, il giocatore arriva in Italia lontano dalla sua forma migliore, in cerca di riscatto. Sì, perché ormai la Serie A, negli anni Novanta tempio del calcio moderno e del calcio europeo, è diventata un luogo di rinascita (o di oblio definitivo) per i calciatori indesiderati, o per quelli che hanno perso lo smalto dei tempi andati.
A guardare il palmarès personale, diremmo il declino di Torres meno grave di quanto si dica (ha vinto negli ultimi anni in Europa più di tutte le italiane messe assieme), eppure rispetto ai tempi di Liverpool è andato a ricoprire, per demeriti più che per scelte tecniche, ruoli marginali, da contorno.
Da squad player, come dicono in Inghilterra, lì dove è passato da top a flop a stretto giro di posta: un uomo utile alla cause, dal cartellino e dall’ingaggio troppo pesante se paragonato ai gol effettivamente segnati, al contributo realizzativo modesto e francamente povero.
Posto che i dubbi su un giocatore in fase calante ce li hanno tutti e meno male che è così, molte restano le nubi attorno alla politica del Milan, da mesi accostato a Cerci (l’uomo che ti dà il cambio di passo), ora disimpegnatosi nella tipologia di acquisto preferita, nell’usato (un tempo) garantito.
Fondamentale sarà che il fisico di El Shaarawy e Pazzini non tradisca (e sarebbe già una notizia), così che il rientro del Niño su alti livelli possa essere graduale e senza l’affanno dell’ora e subito: col lavoro di Inzaghi e la giusta organizzazione, l’acquisto può essere di quelli importanti, per spaccare quella zona medio-alta di classifica che vuol dire Serie A.
I problemi restano, intendiamoci, e parlano di una difesa sempre poco all’altezza, di una situazione portieri sinceramente confusa e di un ambiente che Balotelli voleva un po’ tenerlo e un po’ darlo via.
A che aggrapparsi, oggi, tifosi rossoneri? All’impegno, al carattere, all’attitudine al lavoro e all’abnegazione, nient’altro.
Perché se parliamo di impegno, non scherziamo: ce l’ha messa sempre tutta, s’è sacrificato pure l’universo ce l’aveva con lui, quando anche a porta vuota e a portiere battuto la palla di entrare non voleva saperne.
È su questo, forse, che deve premere il Milan. Insistendo e lavorando perché ritorni il vero Torres.
Come un torero. Come amava dire il telecronista che ne ha celebrato le, indimenticabili, imprese di Anfield.
Dove l’abbiamo visto regnare. Dove ha terrorizzato difese e gonfiato reti, come vuol riprendere a fare: il vero campione si rialza quando non ci crede più nessuno.