Serie A, sette maglie senza sponsor
Che il calcio italiano sia in crisi è un dato di fatto. Il flop della Nazionale è solo un riflesso spontaneo di un movimento in difficoltà, dove i club della Serie A per un’altra stagione hanno solo potuto essere spettatori dei grandi colpi di calciomercato. Ormai in Italia i campioni scappano e non arrivano, se non in tarda età per portare esperienza più che qualità, come i migliori tecnici che preferiscono esportare le loro competenze in altri campionati.
Se il lato tecnico piange, quello finanziario non è da meno. Anzi, possiamo dire che il lato economico del Paese e del sistema calcio è sicuramente causa di questa grave situazione. Nel weekend comincerà il campionato 2014/15 e per la prima volta ai nastri di partenza si presenteranno sette squadre senza main sponsor sulla maglietta.
Le maglie ancora vuote di Cesena, Fiorentina, Genoa, Lazio, Palermo, Roma e Sampdoria, rappresentano un record negativo mai registrato in Italia, che evidenzia sempre di più lo scarso appeal che questo campionato ha verso il mondo del mercato.
C’è chi come Roma e Lazio si trova senza sponsor a causa delle alte pretese. Entrambi i club hanno fissato una base d’incasso dallo sponsor principale che attualmente non è stata presa in considerazione da nessuno. La nuova Roma di Pallotta, infatti, chiede circa 14-15 milioni per mettere il proprio nome sulla maglietta di Totti e compagni. Altri come Fiorentina e Genoa invece hanno dei co-sponsor come Save the Children e McVitie’s, ma non quello principale.
Situazione assurda, questa, se pensiamo che a luglio su richiesta dei club la Lega calcio aveva aperto al quarto sponsor sulle divise da gioco, da porre sulla parte posteriore della maglietta, sotto il numero.
Il nostro modello di calcio è primitivo, gira attorno ai soli diritti televisivi, unico introito cospicuo per i club. Stadi obsoleti e poco sicuri, scandali vari, pessime visioni manageriali e i flop dei risultati hanno portato la Serie A ad essere un campionato comprimario rispetto a Premier League, Bundesliga, Liga e Ligue 1.
In Italia solo da qualche anno si sente parlare di Marketing grazie all’ingresso nelle società di figure estere, di uomini d’affari, prima che tifosi. Il proprio brand non è mai stato valorizzato e l’immagine dei club e dei campioni non è mai stata sfruttata in maniera adeguata, rendendo quindi il campionato poco appetibile all’estero e poco sfruttabile in patria. Esempio lampante il confronto con la Premer inglese, dove per griffare con il proprio nome il campionato la Barclay’s paga 50 milioni di sterline, mentre per la Tim in Italia bastano 15,750 milioni di euro.
Così la stagione partirà di nuovo in sordina con sette casacche senza marchio, con relativi risvolti economici per le società. È sempre più evidente, quindi, la necessità di mettersi al passo con i tempi per il nostro sistema, l’adeguamento alle nuove tecniche di mercato è necessario per la sopravvivenza dello stesso e non può essere rinviato ulteriormente.