I fischi del San Paolo
Una partita dai due volti, un incontro cambiato con l’uscita di un giocatore che è il simbolo del Napoli stesso, nonostante le polemiche degli ultimi mesi. Quello stesso calciatore che, nella stagione scorsa, è stato fondamentale per il conseguimento dell’unico obiettivo centrato, la Coppa Italia che ha concluso con una doppietta nella finale di Roma contro la Fiorentina. Lorenzo Insigne ha sicuramente disputato una delle peggiori partite in maglia partenopea, così come tutta la squadra è sembrata poco brillante e in ritardo di condizione nei primi due terzi d’incontro: non credo che il problema fosse Insigne stesso, ma era come se gli azzurri dovessero liberarsi dall’ansia da prestazione, quella che non può non venirti se giochi in una piazza così pressante e stressante come Napoli. Se sei cresciuto in quello stesso posto, poi, paradossalmente è persino peggio perché è vero che non c’è il problema dell’adattamento, ma vivi la settimana di avvicinamento alla partita con un’intensità diversa rispetto ad altri palcoscenici.
Quell’ansia da prestazione è venuta meno grazie alla prodezza di Gonzalo Higuaín: un gol di bellezza rara perché di attaccanti che proteggono il pallone in quella maniera ce ne sono pochi ormai. La voglia di spaccare il mondo e portarselo a casa, poi, hanno fatto la differenza tra segnare e non segnare. Una differenza che Insigne deve ancora imparare e siamo sicuri potrà assimilare con il tempo, con i minuti giocati in Champions League e con le brutte partite tipo quella di ieri sera: dagli errori s’impara, non si risponde in maniera polemica come ha fatto lui uscendo dal campo. Questo è un grave errore per un professionista, un individuo pagato per giocare a pallone non dovrebbe mai permettersi di criticare il pubblico, nonostante il San Paolo non si sia comportato bene con l’unico napoletano di questo Napoli. Ma nelle grandi piazze si è sempre molto umorali, perciò basta una scintilla per trasformare il rumoroso – in senso negativo – pubblico napoletano nella bolgia che tutti conosciamo.
Detto questo chiunque abbia pagato il biglietto, ieri sera, ha il diritto di giudicare la prestazione del singolo, Insigne compreso; non sarà stato elegante, ma non è di certo il primo caso in Italia e, a dirla tutta, proprio il pubblico successivamente è stato fondamentale nell’assalto alla porta dell’Athletic Club, nonostante il gol del contro sorpasso non sia poi mai arrivato.
Adesso il problema presentatosi in estate s’è ingigantito: perché Insigne verrà preso quasi sicuramente come capro espiatorio della pessima prestazione del Napoli nei primi 60 minuti. Questo, come già detto in precedenza, non corrisponde assolutamente alla realtà; al limite ci si può chiedere come un giocatore del talento di Mertens possa anche solo sfiorare la panchina, nonostante il Mondiale gli abbia sicuramente sottratto energie in quest’inizio di stagione. Ricucire subito, a partire dalla prossima trasferta in Spagna, dev’essere l’unico obiettivo nella mente di Lorenzo e di qualunque tifoso napoletano: perché immaginare un Insigne separato in casa o, ancora peggio, ceduto nella prossima sessione di mercato è qualcosa a cui, da appassionato di calcio, non voglio nemmeno pensare.
Nel giorno della presentazione di Antonio Conte come ct dell’Italia, questo non fa di certo una pubblicità positiva a Insigne in ottica nazionale. Un obiettivo concreto nella testa del 23enne partenopeo, che sogna di poter partecipare al prossimo europeo magari in coppia con l’amico di sempre, Ciro Immobile. Lui ci sarà quasi sicuramente tra i convocati dell’ex tecnico juventino, su cui vi sono molti dubbi circa le sue caratteristiche: se è vero che, da sempre, fa del lavoro quotidiano un suo punto forte come potrà fare la differenza – come si pretende a un allenatore da 5 milioni di euro a stagione – anche da selezionatore azzurro? Questo indipendentemente dai problemi di coerenza e onestà intellettuale, dato che Conte a più riprese si è lamentato di quanto gli stage per le nazionali fossero incompatibili con le esigenze di una compagine che punta a vincere in Italia e in Europa: adesso addirittura si parla di aumentare questi incontri per creare un’amalgama migliore ed evitare figuracce stile Brasile 2014. Ma non erano troppi?
Chiusa questa parentesi, torniamo a parlare di quello che è successo al San Paolo. Appare evidente che i problemi maggiori siano in mezzo al campo: Gargano non può essere un titolare perché troppo impreciso in fase d’impostazione, mentre Jorginho mi ha impressionato per la capacità di cambiare passo nello stretto sapendosi, però, disimpegnare anche quando costretto a fronteggiare gli avversari. Può crescere ma, al momento, non è di certo un top player a livello europeo: serve un Fellaini o un de Guzmán, forse più il primo visto che di fantasia ed estro, nello scacchiere di Benítez, ce n’è probabilmente fin troppo con Hamšík, Mertens e Callejón in campo. Per facilitare quest’innesto serve una grande partita in quel di Bilbao, uno dei teatri più caldi della Liga: ma a Napoli sono esperti di ambienti roventi e passare il turno significherebbe svoltare la stagione, senza se e senza ma. Più che San Gennaro, questa volta il miracolo deve Higuaín: ma senza l’aiuto di una squadra corta, compatta e che sappia ripartire in maniera fulminea, l’argentino può solo che sparare a salve.