Dopo tante polemiche, alla fine l’ha spuntata Carlo Tavecchio nei confronti di Demetrio Albertini. Nonostante le bucce di banana e le gaffes, è lui il nuovo Presidente Federale. Cosa cambierà per il calcio femminile ora?
Innanzi tutto, guardiamo il punto del programma di Tavecchio per il calcio femminile è molto chiaro, come egli stesso ha da sempre affermato, ovvero bisogna migliorare il lavoro con le scuole calcio e passare dalla affiliazione con le squadre maschili per migliorare il movimento in rosa ed aumentare la competitività del nostro calcio femminile:
“Solo partendo dalle scuole potremmo assicurare uno sviluppo al calcio femminile, anche nell’ambito del calcio a 5, che nel nostro Paese sconta ritardi logistici e strutturali inaccettabili. Al fine di favorire la diffusione e la crescita dell’attività legata all’Altra Metà del Calcio è necessario anche rivedere le regole del tesseramento, affinchè si possano finalmente affrontare esigenze specifiche per risolvere annose criticità di genere che si manifestano in particolar modo con il raggiungimento della fascia d’età relativa alla categoria Giovanissimi.
Dobbiamo creare un progetto globale per il calcio femminile con nuove specificità chiedendo ai club professionistici – e gradualmente prevedendo uno specifico criterio per il rilascio della licenza nazionale – di istituire almeno una squadra femminile che partecipi a campionati, anche giovanili, con format innovativi tesi allo sviluppo del settore. E’ impensabile che in Italia il calcio femminile sia numericamente irrilevante e abbia una dimensione di oltre 10 volte inferiore a quella tedesca o anche di oltre tre volte inferiore a quella inglese o francese.”
L’affiliazione al calcio femminile è da tempo propugnata dal neo Presidente Federale ed è caldeggiata da alcuni ambienti… ma non da tutti. Chi è a favore dice che è solo il passo naturale che hanno fatto le nazioni attorno alla nostra per migliorare il calcio femminile e renderlo più competitivo. C’è però qualcuno che dice che bisogna in primis cambiare la mentalità delle persone e della stampa prima di tutto e che potrebbero sparire alcune realtà del calcio femminile che non hanno una realtà maschile corrispettiva.
A questo proposito, cito a paragone il Turbine Potsdam, una società calcistica femminile tedesca della città di Potsdam, nata come sezione femminile del BSG Turbine Potsdam ed esistente come società indipendente dal 1° aprile 1999. La prima squadra femminile, da quando è indipendente dalla controparte maschile, ha vinto per 6 volte la Bundesliga, per 3 volte la Coppa di Germania, per 5 la DFB-Hallenpokal e per 2 volte la UEFA Women’s Champions League. A questo paragone aggiungo quello del Tavagnacco, squadra friulana che ha vinto consecutivamente per due volte la Coppa Italia Femminile senza avere un legame con un corrispettivo maschile. Tutto questo a dimostrare che, al di là della affiliazione, se non si ha un progetto alle spalle non si vince nulla e non si fa saltare il banco.
Di cosa si ha paura allora? Ormai alcune squadre femminili hanno già gettato il cuore oltre l’ostacolo (Torres, Firenze e Bari tra le altre) ed hanno entusiasticamente aderito a progetti di affiliazione in nome di una crescita migliore del movimento e delle prestazioni sportive. Altre squadre, con controparti maschili di tutto rispetto come il Milan, il Torino, la Juventus ed il Napoli, al momento giocano nella Serie B o nella Serie C senza avere notizie da parte della squadra maschile. La speranza è che quest’anno sia un anno di crescita esponenziale per tutto il movimento e che si trovino le eredi della Panico e della Gabbiadini nei vivai che non sono ancora nati.
Troppi club femminili hanno paura di fare la fine della nonna di Cappuccetto Rosso, inghiottiti dal lupo della squadra maschile. Ma, stavolta, forse non è sempre colpa del lupo.