Quante se ne sono dette e scritte sul nuovo tecnico della nazionale italiana. Per quanto ci riguarda, l’ultima volta che abbiamo affrontato il discorso in maniera approfondita è stato con l’editoriale di giovedì scorso, che consiglio di rileggere perché può considerarsi (e lo è diventato in maniera del tutto involontaria) l’incipit perfetto per il pezzo che state, invece, leggendo su queste righe. Pietro Luigi Borgia ha analizzato la situazione in maniera esemplare, spiegando i suoi “perché sì” e “perché no” ad Antonio Conte. Adesso, facciamo un passo avanti, e andiamo a capire cosa l’ex tecnico della Juventus potrà dare a questa Nazionale stanca di leccarsi le ferite.
E’ palese oramai: il buon Antonio ha lasciato la Juventus per l’Italia. Mani al cielo, ci mancherebbe: legittimo fare ciò. Non elegantissimo farlo a luglio inoltrato, quando la stagione nuova è alle porte e il gruppo è da unificare. Fatto sta che lui ha deciso di lasciare, e allora: Juventus ad Allegri, Tavecchio alla FIGC (purtroppo) e Antonio Conte alla guida degli azzurri.
La modalità con cui l’affare si è concluso è piuttosto curiosa: ingaggione di quelli pesanti, pagato in parte dalla Federazione italiana e in (gran) parte dallo sponsor principale, la Puma, e diktat del neo ct piuttosto chiaro: massima libertà nella gestione dello spogliatoio, carta bianca sui ritiri da organizzare durante la stagione per tenere il gruppo concentrato, e nessun ostacolo nella formazione del gruppo azzurro. Fin qui, tutto lindo e pinto. Da qui in poi, sorgono i dubbi.
Il primo: legato alle capacità internazionali del nostro nuovo commissario tecnico. La Juventus di Conte, in Italia, ha vinto, anzi: ha stravinto. All’estero non è un mistero che abbia deluso tutte le aspettative. La nazionale giocherà, ovviamente, solo competizioni internazionali: Conte è un carismatico, è un tecnico che sa tirare fuori dal gruppo tutte le energie, anche le più nascoste, ma riesce a farlo nel tempo, in competizioni lunghe, vissute in maniera intensa e costante. Qui arriviamo al secondo punto: Conte come commissario tecnico. Il progetto è interessante, lui ha tanta ambizione, ma la sensazione è che sarà dura per lui gestire la cosa come l’ha pensata originariamente. Nel senso: non era lui che si lamentava per i troppi impegni dell’Italia, ai tempi di quando allenava la Juventus? Non era lui che protestava per gli infortuni occorsi durante le partite con le rispettive selezioni? Adesso, pretendere rispetto per la Nazionale, con impegni da rispettare e ritiri forzati da attuare, sembra un po’ incoerente.
Terzo punto: il blocco Juventus. In nazionale, Conte ritroverà i vari Barzagli, Chiellini, Bonucci, Buffon. Non Pirlo, che lascerà l’azzurro, a meno di clamorosi ripensamenti magari dovuti proprio all’avvento dell’ex allenatore bianconero. Ecco: questo blocco-Juve è un pericolo, una spada di Damocle. Perché Conte dovrà essere bravo a trasformare l’Italia, a non renderla (più) dipendente da quella squadra che un tempo era sua, e che ha fornito (inutile) qualità all’azzurro durante l’era Prandelli. La tentazione di basarsi ancora su quei giocatori che conosce benissimo è tanta, ma no: l’Italia non può avere le fondamenta che provengono da una sola casa base. L’Italia deve essere un amalgama di risorse ed energie, ed è questo che con Prandelli, per esempio, non ha funzionato. Conte dovrà saper gestire tale situazione, e attingere da tante fonti. Non prevalentemente dalla sua Vecchia Signora.
Infine, un appunto sul codice etico. La situazione è: Conte, indagato per calcioscommesse, promosso da Tavecchio, che di magagne ne ha fatte e non stiamo qui a riepilogarle. Loro due dovranno garantire “trasparenza”. Dubbi? Parecchi, speranza però tanta. Italiani, non ci resta che attendere.