La notizia è di ieri, e in un certo senso è una non-tizia (cit. Marco Betello): se non ci saranno intoppi, nei prossimi giorni Antonio Conte verrà annunciato quale nuovo Commissario Tecnico degli Azzurri. Era il 24 giugno quando Abete e Prandelli annunciavano le proprie dimissioni. Riempita una casella, manca ancora l’altra.
E gli impegni comunque si avvicinano (Italia-Norvegia è prevista per il 13 ottobre), e soprattutto di grandi tecnici a spasso ce ne sono pochi. Guardando all’estero, due nomi: Sabella e Scolari, ed è difficile pensare a entrambi. Se invece restringiamo il campo agli allenatori italiani, siamo ai minimi: Zaccheroni, Spalletti, Mancini, Conte. Non si esce da questi quattro nomi.
Anzi, in realtà non si esce da due di questi: perché sia Mancini che Spalletti hanno ormai stipendi decisamente fuori misura per le casse della FIGC – anche se si potrebbe ribattere proprio che, avendo fin qui guadagnato lautamente, potrebbero accontentarsi di poco pur di avere l’onore di guidare la nazionale. Ma forse più che di onore si tratta di onere, vista la particolare contingenza (la squadra in campo, e soprattutto il clima ostile in cui sarebbero condannati a barcamenarsi). Spalletti, peraltro, è ancora sotto contratto con lo Zenit.
Quindi Conte, con Zaccheroni come piano B. Cominciamo da quest’ultimo: difficile immaginarlo condottiero degli Azzurri. In Giappone (complimenti a lui per il coraggio, peraltro) si è costruito una buona reputazione come CT, ed è stato molto apprezzato dai giocatori per i modi composti e l’organizzazione; ma proprio per questo pare inadatto a un contesto differente, in cui più che l’educazione valgono le urla, e più che le geometrie valgono i rapporti di forza.
Insomma: difficile vederlo pronto ad alzare la voce per fare scudo al gruppo, per esempio. Ergo, rimane solo lui, Antonio Conte. Perché sicuramente è l’italiano più vincente in Italia, in tempi recenti; perché gioca sull’orgoglio e sulla solidità mentale (due qualità che in Brasile ci sono completamente mancate); perché comunque non si può ancora prescindere dal blocco-Juventus; perché ha divorziato dai bianconeri per problemi fuori dal campo, mentre con i giocatori ha un rapporto ottimo; non ultimo, perché in carriera ha già dimostrato di sapersi adattare.
Rapida carrellata, per rinfrescare la memoria: a Bari e a Siena ha impostato un 4-2-4 puntato sulle fasce, con esterni offensivi abili nel tocco, un gioco veloce e aggressivo con una fase di recupero palla più breve possibile; ma alla Juventus, dopo aver saggiato la rosa, in poche settimane ha messo da parte Krasić e Giaccherini virando verso il 4-3-3 (in mezzo, Pirlo, Marchisio e Vidal) e infine giungendo al 3-5-2 (recuperando anche Bonucci dietro).
Sembrerebbe il candidato perfetto. Elastico nell’adattare il gioco alla squadra, non inviso ai senatori, motivatore quanto serve. Ma di sicuro c’è un rovescio: per impostare un lavoro come il suo, ha avuto bisogno di tempo. Cioè di allenamenti quotidiani. Quelli che un incarico da CT non può offrire. Più che la velocità, valgono le sincronie: e queste non si creano dall’oggi al domani.
Poi ci sono altri due punti “oscuri”: è un personaggio che divide (per carattere, perché diventato antipatico dopo tre anni di vittorie, perché è stato lambito anche da qualche scandalo); e non potrà fare alcuna campagna acquisti, ma dovrà lavorare con ciò che troverà. Anzi: dovrà essere bravo a gestire tutti, senza ripudiare nessuno. Poche e chiare le sue richieste: un progetto vincente da subito (senza puntare per forza sui giovani), un codice disciplinare rigoroso (codice etico, dove sei?), mano libera sullo staff e su eventuali ritiri durante la stagione (sinergie, sincronie da creare).
Poi, chiaro, in federazione c’è anche da trovare qualche soldo in più: Prandelli prendeva meno di due milioni (di cui una parte per diritti d’immagine), a Conte verrà offerta una cifra simile; ma si può sempre lavorare su iniziative collaterali e premi per far salire il compenso. In tutto ciò, poi, c’è Tavecchio: fresco di elezione, subito una brutta gatta da pelare. Se ce la fa, acquista forza; se ripiega su altri (il pur dignitoso Zac), inizia con un piede già in fallo. È il potere, bellezza.