Banane, ancora banane. Pochi mesi dopo Dani Alves. Anni dopo Michael Chang, per un rituale che nel tennis è arrivato fino ai giorni nostri. Non so se a Taiwan (paese di origine dei genitori di Chang) ci sia l’abitudine di mangiare banane; in ogni caso il figlio ha dimostrato al mondo la loro utilità (diciamo così), se è poi riuscito a diventare il più giovane vincitore di sempre del Roland Garros.
Non vogliamo certo entrare nella testa di Tavecchio, quando ha testualmente dichiarato che «Le questioni di accoglienza sono un conto, le questioni del gioco sono un altro. L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano se hanno professionalità per farli giocare. Noi, invece, diciamo che… Opti Poba è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio. E va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree».
Lo stereotipo è noto e stranoto. Neri, scimmie, banane. Facile e indolore (se hai la pelle bianca e sei bianco di estrazione democristiana). Lo conosce anche la FIFA, che ha chiesto alla FIGC di indagare e chiarire (Blatter stia tranquillo: tra dieci giorni, Tavecchio aprirà sicuramente un’inchiesta sulle sue stesse dichiarazioni). Più raffinata quella sul pedigree come per i cani. Chissà se i cani mangiano banane. E chissà che sarebbe successo se una frase del genere fosse stata detta in campo, tra giocatori (quante giornate di squalifica, Carlo?).
A ogni modo: chiaro il bersaglio, e cioè certi stranieri nei nostri campionati. Non tutti, perché per un Okaka c’è sempre un Livaja che, somaticamente, dovrebbe essere a posto (a meno che Tavecchio non ce l’abbia anche con i bevitori di Maraschino). Perlomeno, questo traspare dalla scelta delle parole (e non vogliamo pensare che un 71enne come lui, che ha fatto fior di politica, possa non sapere cosa stesse dicendo).
In tutto ciò Malagò tace o quasi, mentre Tavecchio rischia davvero di scivolare sulla propria buccia di banana, come ha scritto giorni fa il nostro Paolo Chichierchia. Lo hanno scaricato la FIFA, la UEFA e la UE (tradotto: in un attimo si è creato tutti gli amici politici che gli servono), e tra le squadre Fiorentina, Sampdoria, Brescia e Sassuolo (alto peso politico, con Squinzi a capo della Confindustria). E proprio qui sta il guaio: che le Leghe sono formate da squadre, le quali sono quelle che schierano gli Opti Poba. Anzi: viene da chiedersi come facessero ad appoggiarlo già prima, Tavecchio.
Di sicuro, c’è che abbiamo un curriculum immacolato, fresco di tre lustri alla guida della Lega Dilettanti (sì, l’ironia in certi casi si spreca). Così esperto da scusarsi prontamente della gaffe (come le ciò esaurisse il peccato: come se l’assassino, scusandosi, resuscitasse la propria vittima); meglio non chiederci cosa possa pensare del calcio femminile (già lo sentiamo: «faceva la calza, adesso gioca centravanti», in barba a decenni di emancipazione femminile). Non pare tanto un candidato “alternativo”, anzi (pare un Abete ancora più ruspante, diciamo).
Quindi, l’alternativa. E cioè l’altro vicepresidente federale uscente: Demetrio Albertini, già perno della nazionale negli anni Novanta. Il nuovo (contro il (Ta)vecchio) che avanza. Parla di riforme e di rendite di posizione da sgretolare. Insomma, fa il Renzi della situazione (gioventù, riforme come nuova religione, e così via).
Tavecchio si scusa, e riceve ancora appoggi a destra e a manca. Abodi: «Tavecchio è una novità. Albertini manca in esperienza di gestione» (nel raffronto tra i due, la seconda parte diventa vera; ma pare difficile parlare di una novità che è nel calcio dal 1987). Addirittura arriva persino il sostegno (in italiano moderno endorsement) di Luciano Moggi: «Si parla, anzi si sparla, di Tavecchio, del suo modo di esporre il programma, della sua infelice battuta sugli extracomunitari (che voleva essere solo una battuta), per la quale ha anche chiesto scusa» (Lucia’, quando è che chiedi scusa per quello che hai fatto tu?).
Mentre quindi Tavecchio continua a mantenersi in equilibrio (perde qualche squadra, ma i numeri li ha ancora solidissimi, e molti gentiluomini lo appoggiano), Albertini lancia un hashtag per rispondere alle domande (#AskAlbertini) e conduce la sua campagna in solitario:
Niente appoggio (del Milan, e non soltanto) solo per ora: per certi versi è sicuramente vero (nel senso che anche lui potrà fare come Renzi: perse le primarie, aspetta un giro mentre Tavecchio/Bersani lavora per lui… allo sfascio). Per altri versi è comunque un altro scenario inquietante: perché, anche venisse eletto, sarebbe difficile pensare in un sostegno forte alle sue idee, vista l’attuale coalizione che lo osteggia. Abbiamo solo da perderci, tutti.