Il clamore mediatico della vicenda Daniel Hackett ha “costretto” gli atleti azzurri a scrivere una lettera, di loro pugno, per chiarire la posizione riguardo l’abbandono del ritiro da parte del loro (ex) compagno di squadra. Un messaggio che, dall’esterno, è apparso tutto tranne che leale, ma solo volenteroso di difendere quelle che sono state le esternazioni della FIP; ossia voler a tutti i costi trovare un colpevole o un capro espiatorio in una situazione in cui, onestamente, sembra esserci il più classico dei concorsi di colpa.
La verità è che, da questa situazione, escono tutti sconfitti. Esce sconfitto Daniel Hackett che starà lontano dal parquet sino ad aprile 2015, tanto che l’EA7 ha ottenuto l’accordo per il decurtamento dell’ingaggio, visto l’impiego solo part-time: solo Eurolega per il playmaker cresciuto a Pesaro, con la dirigenza meneghina che sarà costretta a trovare un sostituto per la stagione regolare. Dicevamo della sconfitta, già perché a rimetterci è anche il Basket italiano, che perde il numero uno titolare per le qualificazioni europee e, soltanto grazie al buonsenso delle parti coinvolte in causa, non è costretta a rinunciare a un campione italiano, in un torneo in cui gli atleti con origini tricolore sono sempre meno protagonisti, eccezioni – che confermano la regola – escluse.
Faccio una premessa: Hackett ha sbagliato, allontanarsi da un ritiro contro il parere dello staff medico e tecnico non può che essere etichettato come un errore bello e buono, e in quanto tale deve pagare. Questo però l’ha ammesso lui stesso, facendo un mea culpa forse forzato anche dalla società stessa, nel tentativo di ottenere il minimo della pena; lodevole, invece, il non voler fare ricorso, un segnale a tutto il pubblico per evidenziare che ha capito quali sono stati gli errori e, soprattutto, un chiaro sintomo di voler provare a limare questi atteggiamenti. Chi invece non chiederà scusa, e lo sappiamo con certezza, è la FIP. E’ vero che la Nazionale italiana è il culmine della carriera di un giocatore, il sogno di ogni bambino che si avvicina al minibasket, il simbolo di un percorso fatto di sudore, voglia di arrivare e vittorie, tante vittorie. Tuttavia è innegabile che un giocatore abbia il sacrosanto diritto di curarsi nei periodi meno intensi dell’anno: e per un giocatore che, ogni stagione, gioca sino a ottanta partite con il suo club – tutte difendendo sino alla morte, non come succede nella regular season oltreoceano – quel periodo non può che essere compreso tra la fine di giugno e l’intero mese di luglio. L’Italia, inoltre, per passare il girone dovrà affrontare la concorrenza russa – senza Kirilenko – ed elvetica, non esattamente le due squadre più forti del continente: questo potrebbe già bastare per concedere ad Hackett un ulteriore riposo, non solo per motivi egoistici ma anche in ottica Europei 2015. In quell’occasione sì che tutti dovranno essere al top della condizione, non solo il numero dodici meneghino ma anche i giocatori NBA, che in passato hanno rifiutato di vestire l’azzurro per restare con le varie franchigie ad allenarsi.
Per questi e molti altri motivi che non ho modo di elencare, la lettera dei giocatori è stata un clamoroso autogol da parte di tutto il team, che ha così consegnato un compagno nelle fauci del nemico, ossia la stampa, favorendo una campagna mediatica contro l’uomo e non contro il giocatore. E dire che in quelle righe si parla di coesione del gruppo, di lavare i panni sporchi in casa e non abbandonando il ritiro: così come si menzionano alcune regole non scritte tipiche di ogni spogliatoio. Tutto giusto, ma non se poi si è disposti ad accoltellare alle spalle un amico appena possibile.