La prima competizione sulla pista dell’Hungaroring si svolse nel lontano 1936, coronata dalla vittoria di Tazio Nuvolari e rimase l’unica fino al 1986, quando la Formula 1 “moderna” riaffermò la sua presenza di terra magiara.
Fu Bernie Ecclestone, capo supremo della Formula 1 sempre attento alla conquista di nuovi mercati, a volere fortemente un gran premio in una nazione dell’allora blocco comunista. All’epoca si tramutò in un evento mediatico che cavalcava quei “venti del cambiamento” che Gorbachev, tramite la sua politica della glasnost, stava mostrando al mondo.
Il lato sportivo non deluse gli appassionati, grazie al duello tutto brasiliano fra un giovane Senna, su Lotus Renault 98T e l’esperto Piquet su Williams Honda FW11, vinto da quest’ultimo con un controsterzo rimasto leggendario.
Nonostante questa premessa, le edizioni seguenti diedero ragione ai critici, i quali imputavano al circuito una conformazione stretta e “lenta”, con curve in cui i sorpassi risultavano problematici e una conseguente strategia che tendeva a premiare le posizioni ottenute in qualifica a scapito della gara vera e propria.
Strano il destino dell’Hungaroring.
La pista lenta, in cui il gas viene spalancato al 55%, le curve da affrontare in seconda e in quarta marcia e la velocità media di circa 180 Km/h non favoriscono lo sviluppo di contese particolarmente emozionanti. Eppure è proprio su questo circuito che si sono sviluppate alcune delle sfide più appassionanti degli ultimi trent’anni.
Dopo un triennio dominato dai motori Honda, nel 1989 fu il “leone” Nigel Mansell, su Ferrari, a infrangere il monopolio della casa giapponese, realizzando un’impresa destinata a restare nella memoria degli spettatori. Qualificatosi dodicesimo e partito dai box, riuscì a sbarazzarsi di quelli che lo precedevano fino a giungere in prossimità della McLaren MP4/5 di Ayrton Senna. Un’indecisione con un doppiato fu fatale al brasiliano e sufficiente all’inglese per tagliare il traguardo in prima posizione.
Nel 1997 Damon Hill, guidando una modesta Arrows, andò molto vicino a salire sul primo gradino del podio, arrendendosi solo all’ultimo giro all’invincibile Williams di Jaques Villeneuve, a causa di un problema con la pompa idraulica che lo rallentò favorendo così la vittoria del canadese.
Il Gran Premio dell’anno seguente fu teatro di una delle sfide più affascinanti della Formula 1 moderna, plasmando una delle gemme più splendenti che incoronano la carriera di Michael Schumacher.
Il dominio nelle qualifiche delle McLaren di Mika Häkkinen (futuro vincitore del Mondiale) e David Coulthard parve un chiaro prologo a un successo domenicale frutto di una superiorità tecnica quasi imbarazzante.
Ma, durante il Gran Premio, la Ferrari decise di azzardare un cambio di strategia “in corsa”, interpretando perfettamente uno degli stilemi della Formula 1 moderna, che, al contrario del passato, individua nella sinergia fra pilota e squadra la sua caratteristica più importante e spiccata.
Al quarantatreesimo giro Ross Brown, con il beneplacito del Direttore Sportivo Jean Todt, suggerì a Schumacher di effettuare tre soste al posto delle due scelte dalla maggioranza dei piloti, per tentare di ovviare, grazie a un serbatoio più vuoto, all’inferiorità tecnica con le Frecce d’argento.
“Michael, devi guadagnare 25 secondi in 18 giri. Te la senti?”
Schumacher annuì e corse ogni giro come se si trattasse di un giro da qualifica, tagliando in testa il traguardo fra lo stupore generale e il delirio dei tifosi della Rossa.
I ferraristi ricordano con estrema soddisfazione anche l’edizione del 2001, teatro dei festeggiamenti per la conquista del titolo per piloti e per costruttori; mentre nel 2003 Fernando Alonso, su Renault, agguantò il primo successo di una carriera che lo avrebbe visto, anni dopo, al volante di una delle vetture della scuderia di Maranello.
L’ultima sfida avvincente si verificò nel 2006: complice la pioggia, sulla pista avvenne un rimescolamento continuo di posizioni. I vari errori commessi dai box, quali una ruota fissata male sulla vettura di Alonso che ne causò l’urto contro le barriere o la scelta Ferrari di mantenere le gomme rain su pista asciutta, deteriorandole irreparabilmente, alimentarono l’incertezza sull’esito finale fino alla vittoria di Jenson Button su Honda.
A corollario di tutto ciò, a fine gara venne comminata una squalifica, per peso irregolare della monoposto, all’esordiente Robert Kubica, giunto inaspettatamente settimo.
Negli ultimi tre anni è stato il motore Mercedes, prima su McLaren e l’anno scorso su monoposto targata Mercedes, a dominare la scena ungherese. La pole appena ottenuta da Nico Rosberg parrebbe precludere a un nuovo successo tedesco, ma, come visto, ogni tanto in Ungheria si determinano condizioni tali per cui una gara che si preannuncia soporifera si rivela poi indimenticabile.