Per gli osservatori più attenti del calcio, probabilmente, questa è solo una logica conseguenza del sistema-calcio italiano. La verità è che il mondo Juventus, sino a ieri convinto di avere una struttura societaria titanica, si è svegliato da un sogno che durava tre anni; dopo l’Inferno della Serie B, infatti, erano arrivati gli anni del Purgatorio, ossia quelli dei settimi posti, un limbo in cui pochi vorrebbero stare, specie se sulla maglia hai lo stemma glorioso della Juventus. Antonio Conte aveva riportato con entusiasmo i bianconeri in Paradiso, vincendo uno scudetto contro il Milan di Ibrahimovic – e Allegri – da sfavorita, e confermandosi nei due anni successivi. L’ultimo, poi, è stata l’apoteosi del trionfo visti i 102 punti conquistati in campionato, un record assoluto a livello europeo. Il mercato estivo sembrava quindi apparecchiato per creare una macchina perfetta, andando a lavorare sulle lacune che non avevano permesso alla Juventus di passare alla fase a eliminazione in Champions League; quindi gli esterni d’attacco, soprattutto, per dare la possibilità a Conte di cambiare il modulo e abbandonare il poco europeo 3-5-2, passando invece al 4-3-3 che tanto sembra funzionare fuori dai confini nazionali.
Qua il sogno s’interrompe. Lo fa perché il calcio italiano è in crisi, perché in questi anni ci siamo sempre ripetuti “sono tutti alla canna del gas tranne la Juventus, basta guardare lo stadio di proprietà e gli eccellenti colpi a parametro zero, ecc…“. No. No perché la Juventus è soltanto la migliore di un sistema che sta scavando il solco dopo aver raggiunto il baratro qualche stagione fa, e quindi non può esimersi dall’ascoltare offerte del valore di 50 milioni di euro per Arturo Vidal, che per quanto decisivo su ambo i lati del campo ha compiuto a maggio 27 anni, ed ha raggiunto quindi il massimo valore di scambio; rinnovare il contratto al cileno, sempre che lui sia effettivamente disponibile – nonostante le dichiarazioni di facciata – a farlo dopo aver vinto tutto in Italia, potrebbe essere un’arma a doppio taglio, un po’ tipo quello commesso dall’Inter con Maicon e Milito dopo il Triplete. Così come Marotta non può permettersi di pareggiare le offerte dei club esteri per i migliori giocatori del globo: quante volte abbiamo sentito di Alexis Sánchez praticamente già a Vinovo, con il cappellino bianconero indosso? Più o meno da quando è finita la stagione: poi è bastato l’interesse dell’Arsenal per mandare tutto a monte, perché Agnelli non ha 44 milioni di euro da offrire per un calciatore sì decisivo, ma che a Barcellona probabilmente non ha sfondato come si pensava potesse fare. Al netto che poi, lo stesso calciatore, va convinto con un progetto tecnico di primo livello e con motivazioni economiche importanti; e pensare che i Gunners non sono esattamente una squadra vincente nell’epoca recente, e questo non può che allargare ancor di più la forbice tra “noi” e “gli altri”. Non bastasse questo, in ogni caso, c’è sempre la sensazione che le italiane arrivino sui giocatori talentuosi con un fondamentale attimo di ritardo rispetto alle altre: vi ricordate di quando Conte e Marotta, dopo l’eliminazione contro il Bayern Monaco in Champions, parlavano di situazioni economiche diametralmente opposte? Vero, ma non sul mercato dato che le due squadre avevano più o meno investito le stesse cifre nei giocatori nelle ultime stagioni.
Qualunque società che si rispetti, inoltre, ha sempre un piano B altrettanto valido: nel caso della Juventus si chiamava Juan Manuel Iturbe. “Si chiamava” perché è sfumato anche quello, dato che l’argentino giocherà dalla prossima stagione con la maglia della Roma, che lo ha prelevato dal Verona per 30 milioni di euro. Antonio Conte, a questo punto, deve aver capito che non c’era più nulla da fare, che le promesse della dirigenza erano soltanto specchietti per le allodole e lui si apprestava ad allenare una Juventus strafavorita in campionato ma, nella migliore delle ipotesi, da ottavi di finale di Champions League. In ogni caso, quindi, si sarebbe trattato di un passo indietro rispetto alla stagione precedente, quella irripetibile dei 102 punti conquistati e di uno scudetto vinto nei primi giorni di gennaio. E quando manca l’entusiasmo, in quell’esatto momento franano anche le fondamenta del progetto: specie per un allenatore come Conte, che ancora prima di essere un grande tecnico è soprattutto un eccellente motivatore.