Romanzo brasiliano
Mondiali 2014, pronti via e il Brasile apre le danze con la Croazia. Per la verità, la prima volta della palla in porta è già un segnale dei rovesci del destino in agguato: un’autorete di Marcelo, che all’Italia intera rivela la somiglianza dell’improvvido con il cabarettista Ficarra. A risollevare il Brasile ci pensa dapprima il motivatissimo Neymar e poi un generoso rigore concesso dall’arbitro, buono per la vittoria ma non per migliorare il karma dei padroni di casa, che si inimicano i flussi astrali e buona parte dei sospettosi spettatori neutri. Avanza anche il Messico, che strappa pure un pareggio ai brasiliani, grazie ad una parata del disoccupato Ochoa, che evoca il ricordo di Banks su Pelé. Lontano ricordo dei leoni che furono, i litigiosi giocatori del Camerun finiscono per molleggiare il girone rivelandosi materasso.
La prima sorpresa arriva dai campioni del mondo di Spagna, che nella rivincita della finale sudafricana, tracollano sotto i colpi degli orange, incassando 5 gol, di cui due griffati da uno scatenato Robben e uno in libero volo d’angelo da Van Persie. I regnanti di Spagna abdicano in un colpo solo, e il mondo d’un tratto sembra scoprire il tramonto del gioco a fitta trama palleggiata su cui s’era costruito l’impero. Anche il Cile di Sanchez e Medel infila un paso doble alle sopite furie rosse, mentre l’Australia rientra rapida agli antipodi, non senza aver mostrato un movimento in crescita ed un gran gol al volo di Cahill, che s’iscrive di diritto sul podio delle giocate mondiali.
Al cospetto della Grecia, si rivela la forza della Colombia, che sembra poter fare a meno dei gol di Falcao, tanto più che il talento di James Rodriguez, ancor più delle giocate di Cuadrado, brilla di riflessi aurei sotto il sole dò Brazil. Gervinho prova a tener viva la Costa d’Avorio, ma la caparbietà di una Grecia trascinata dai cross di Holebas e dal carattere di Samaras s’impone di rigore all’ultimo minuto. Dei nipponici di Zaccheroni, basterebbe un haiku a racchiuderne la flebile traccia.
E veniamo a noi, che sappiamo tutti come è andata. Sembrano lontani i fantasmi del Sudafrica, quando Marchisio e Balotelli la buttano dentro la porta degli esangui albionici. Il debuttante Sirigu respinge gli assalti inglesi e per qualche giorno vola la fantasia, tanto più che il Costa Rica, per uno scherzo della sorte, ci favorisce stendendo l’Uruguay. Ma un altro scherzo della sorte il Costa Rica di Bryan Ruiz lo prepara anche a noi e la situazione precipita. Sfidiamo l’Uruguay e quel che rimane è il segno di un morso, quello di Dracula Suarez sulla spalla tenera di Chiellini e la chiacchiera al bar, intorno al grado di severità ravvisata nell’espulsione di Marchisio. L’era Prandelli finisce così, divorata dalle code velenose e dalla riproposizione cronica dei problemi non affrontati quattro anni prima.
Arriva in fanfara agli ottavi la Francia di Pogba, seppellendo la Svizzera con cinque gol, mentre nel suo girone l’Argentina riesce a vincere tutte le partite, mostrando un gioco sparagnino e affidato ai lampi di Messi. Delle altre comprimarie, vale la pena ricordare la tonicità dell’Iran, che dimostra come organizzare una buona fase difensiva sia oggi possibile a prescindere dalle latitudini di provenienza e l’Algeria, che puntando invece su corsa e carattere, estromette la pretenziosa Russia di Capello. Il Belgio mostra l’argento vivo della propria miglior gioventù, ma manca dello splendore tattico dei tempi d’oro ’70-’80.
E forse si sarebbe dovuto vedere dal mattino, il buongiorno della Germania, che seppellisce il Portogallo di Cristiano Ronaldo con un rotolante 4-0. Tripletta per Muller, che inizia a sentire il profumo delle grandi occasioni.
Agli ottavi si vedono forse le fasi più belle del mondiale. Solo una traversa, su tiro di Pinilla, impedisce al Brasile un’eliminazione prematura e forse, col senno di poi, misericordiosa. E chissà che voglia di piangere ha il Messico, quando l’Olanda in cinque minuti ne ribalta il cielo. Avanza la Francia ai danni della Nigeria, ma soprattutto di Onazi, che lascia il campo in barella dopo un intervento sulla caviglia del francese Matuidi. In un mondiale dove (finalmente) gli arbitri hanno seguito la direttiva di fischiare meno e lasciar correre di più, resta forse l’errore di valutazione più clamoroso.
Una pur ottima Algeria si arrende nei supplementare all’avanzata teutonica, mentre dall’altra parte del tabellone, l’Argentina supera di misura la Svizzera, favorita da un palo negli ultimi minuti, colpito da Dzemaili (ma anche in questo caso, forse un gol avrebbe risparmiato tante lacrime successive).
La Colombia mette sotto l’Uruguay, con un capolavoro di gol dalla distanza firmato Rodriguez, di colpo diventata la star del mondiale.
Nei quarti, passano di misura ma meritatamente Argentina e Germania, mentre il Brasile gioca la propria miglior partita contro la Colombia. David Luiz, autore di una prodigiosa punizione, consola James Rodriguez uscito tra le lacrime, ma ben altre lacrime attendono il Brasile all’indomani: per Neymar, uscito anzitempo dopo uno scontro con Zuniga, il verdetto è vertebra fratturata e mondiale finito.
Soltanto ai rigori, l’Olanda riuscirà a superare i “Ticos” del Costa Rica di Bryan Ruiz e del portiere Navas. Un trucco psicologico di Van Gaal, che pochi secondi prima del triplice fischio getta in campo il portiere para rigori Krul, evidenzia alla stampa le virtù strategiche dell’allenatore. Sarà l’ultima volta, perché nella semifinale contro l’Argentina, una delle più noiose di tutti i tempi, il dischetto invece risulterà fatale ad un’Olanda ancora una volta nei primi quattro, ma che tuttavia non ha mai incantato, se non al debutto con la Spagna.
Va in finale quindi l’Argentina, e agli occhi dei brasiliani si materializza la prospettiva del peggior incubo: veder trionfare al Maracanà i rivali storici. Nella squadra di Sabella, Messi tuttavia inizia spegnersi, mentre s’impone alla distanza un grande Mascherano, schierato come centrocampista davanti alla difesa ma pronto a rientrare in mezzo ai centrali difensivi. Una sorta di libero, schierato però davanti ai centrali. E’ forse questa l’unica novità tattica del mondiale (proposta anche da Prandelli con De Rossi), almeno per le squadre che prediligono l’approccio tattico. I prossimi anni ci diranno se questa chiave è destinata a diffondersi anche nelle squadre di club, recuperando un ruolo che in parte fu degli antichi centromediani metodisti alla Luisito Monti. In ere meno lontane, qualcosa di simile lo fece già Capello con Desailly nel Milan.
Abbiamo tergiversato con la tattica, anche perché l’altra semifinale, probabilmente rimarrà nella storia come la partita più importante del mondiale, forse più della finale. Privo di Neymar e Thiago Silva infatti, il Brasile affronta la Germania, ma nessuno immagina quel che succederà. Il popolo brasiliano e il mondo tutto, stupefatto e attonito assiste alla disfatta di Belo Horizonte, un 7-1 che rimane il risultato più clamoroso mai registrato in incontri di questo livello.
La finale, quel grande momento hitchcockiano che il mondiale prepara nell’arco di un mese, non delude le aspettative. La tattica accorta degli argentini sembra imbrigliare le offensive manovrate tedesche e ancora una volta, come quattro anni prima, occorrono i tempi supplementari.
Stavolta i panni di Iniesta li indossa Mario Goetze. Sua la splendida girata che regala alla Germania il Mondiale. Vince la squadra più organizzata, se non quella con il miglior campione, sicuramente con il tasso tecnico complessivo più alto. Una squadra capace di vincere contro Portogallo, Francia, Brasile e Argentina.
Agli argentini, rimarranno il ricordo dei gol sbagliati da Higuain e Palacio e, forse ancor di più, quella triste punizione spedita alle stelle dal tramortito Messi a pochi secondi dalla fine.
E ora, appuntamento tra quattro anni: il prossimo romanzo sarà ambientato in Russia. Chissà se il mondo del calcio nel frattempo avrà imparato dai tedeschi.