Sembra passata un’eternità dal 12 giugno, giorno dell’esordio dei padroni di casa contro la Croazia e calcio d’inizio ufficiale dei Mondiali di Brasile 2014. Eppure, è trascorso soltanto un mese. Poco più di 30 giorni e 64 partite che hanno sancito che la Germania è la squadra di calcio più forte al mondo, che quello attuale è il Brasile più brutto della storia, che l’Olanda e l’Argentina hanno onorato il calcio con ottime individualità, ma limiti a livello di gruppo, che la Spagna ha finito il suo ciclo e che in Italia ci sarà tanto, ma tanto, da lavorare per riportare gli Azzurri al vertice. Individualmente, numerosi i verdetti: Klose ha scavalcato Ronaldo nella classifica marcatori di tutti i tempi, Müller si è confermato sui livelli di Sud Africa 2010, James Rodríguez ha scritto il suo nome in maniera indelebile fra le stelle mondiali e Robben ha trascinato gli oranje a un passo dal raggiungimento di una storica seconda finale consecutiva. Fra i flop, male, anzi malissimo, Casillas, simbolo di una Spagna decaduta, l’irritante Balotelli, e Diego Costa e Fred, brasiliani con maglia diversa, ma con esiti (catastrofici) del tutto simili.
Vediamo, nel dettaglio, chi ha entusiasmato e chi ha deluso in questa ventesima edizione della Coppa del Mondo.
TOP 11
LAHM (Germania): a proposito di vincenti. Il capitano della Mannschaft è il vero simbolo di una squadra costruita negli anni per vincere. Da oltre un decennio fra i migliori nel suo ruolo, Lahm in Brasile ha dimostrato duttilità e grande intelligenza tattica, giocando sia da centrocampista che da terzino, sempre con ottimi risultati. Per un certo senso, il giocatore che più meritava di alzare al cielo la Coppa.
GARAY (Argentina): si diceva che la difesa era il vero punto debole dell’Albiceleste e che non reggeva il confronto con l’attacco atomico. Risultato: dagli ottavi in poi, l’Argentina ha subito un solo gol, quello di Götze, segnandone soltanto due. E la difesa, guidata da un impeccabile Garay, è stato il vero punto di forza che ha consentito alla Selección di sfiorare l’impresa.
HUMMELS (Germania): in rete contro Portogallo e Francia, Mats Hummels è stato decisivo in tutti i sensi per la squadra di Löw, confermandosi fra i centrali difensivi più forti al mondo.
ROJO (Argentina): alla faccia di chi diceva che era lui il punto debole della difesa di Sabella. Adattato a esterno sinistro, il giovane calciatore dello Sporting Lisbona si è reso protagonista di un torneo da incorniciare. Le lacrime a caldo dopo la finale sono più che comprensibili.
SCHWEINSTEIGER: epico Bastian. Reduce da un infortunio, il centrocampista del Bayern si è ripreso il posto da titolare a suon di grandi prestazioni. Assieme a Lahm, è il simbolo di una generazione nata per vincere. Non pare possibile che corsa, temperamento, tecnica e grande sacrificio siano qualità che si possano trovare in un solo giocatore, eppure Schweini le racchiude tutte in sé. Ci leviamo il cappello dinanzi a un grande campione.
MASCHERANO (Argentina): vederlo al Mondiale nel suo ruolo originale ci fa pensare che al Barcellona sia sprecato come difensore. Al mondo, probabilmente, non c’è un centrocampista più forte in fase d’interdizione e copertura. Un suo intervento su Robben al 90′, a conti fatti, ha portato l’Argentina in finale. Gli manca la tecnica di Veron, per il resto è nella storia del calcio argentino.
KROOS (Germania): Coppa e Real Madrid. Niente male l’estate di Toni Kroos fino a questo momento. Anche lui, come Schweinsteiger è un calciatore completo, capace di giocare a centrocampo o sulla trequarti e in grado di abbinare forza fisica, tecnica e un gran tiro da fuori. La prestazione contro il Brasile e la doppietta messa a segno sono da raccontare ai nipoti.
JAMES RODRÍGUEZ (Colombia): i Los Cafeteros non si erano mai spinti così avanti in un Mondiale, forse perché non avevano mai avuto in squadra un fenomeno come James. Capocannoniere dei Mondiali con sei gol, di cui due davvero squisiti, el Diez è una delle più grandi sorprese di Brasile 2014. Veloce, tecnico, col pallone incollato ai piedi, ha creato scompiglio nelle difese avversarie. Per poco non gli riusciva il miracolo contro i verdeoro ai quarti. E poteva essere tutta un’altra storia.
ROBBEN (Olanda): non lo scopriamo certo ora, ma non ci stanchiamo di elogiare un campione straordinario come lui. Quando Robben ti punta, ti salta. Hai voglia che si dica che simula, lui viaggia a cento chilometri orari, disegna calcio e fa innamorare.
MÜLLER (Germania): quattro anni fa Maradona lo sfotteva definendolo “raccattapalle”. Già allora il bambino prodigio del Bayern si vendicava segnando e mandando a casa l’Argentina di un presuntuoso Maradona in versione c.t. Oggi, l’affermato campione alza al cielo la Coppa più prestigiosa proprio dinanzi agli occhi di chi l’ha criticato. Cinque gol in Sud Africa, altrettanti in Brasile. Niente male per un raccattapalle.
FLOP 11
DANI ALVES (Brasile): da uno così ci si aspetta più consistenza, sia in termini difensivi che di propulsione offensiva. Invece, il blaugrana ha toppato, finendo per fare panchina per il più stagionato Maicon.
PIQUÉ (Spagna): altro artefice del tracollo spagnolo. Il centrale del Barça è colato a picco contro l’Olanda, perdendo il posto nelle gare successive. Da quello che era fra i centrali più forti al mondo ci si aspettava molto di più.
PEPE (Portogallo): paga la fama di cattivo e lascia in dieci la sua squadra contro la Germania. Espulsione forse un tantino esagerata, ma quando semini vento…
MARCELO (Brasile): Sembrava essersi ripreso dopo l’autorete contro la Croazia, ma l’esterno del Real, al pari di Dani Alves, ha fatto mancare alla Seleçao la spinta sulle fasce che ha sempre contraddistinto il gioco dei verdeoro. Sulla fase difensiva meglio stendere un velo pietoso.
GERRARD (Inghilterra): prendiamo il capitano come emblema di un’Inghilterra che ai Mondiali non funziona. A dir poco deludente il girone degli inglesi, eliminati a malo modo da Costa Rica e Uruguay. In questo senso, da uno come Gerrard ci si aspettava di più.
PIRLO (Italia): come per il collega di reparto inglese, Pirlo, alla vigilia, era l’uomo che doveva accendere la luce del gioco italiano. Ma così non è stato. Buono l’esordio contro gli uomini di Hodgson, nelle altre due partite lo juventino è apparso lento e meno ispirato del solito. E gli Azzurri ne hanno risentito.
HAZARD (Belgio): scelta singolare questa. In realtà, Hazard è il meno “flop” fra gli undici, perché ha comunque dimostrato sprazzi di classe che hanno contribuito a portare il Belgio ai quarti. Ma poteva fare di più. Ci ha abituato a fare la differenza e abbiamo l’impressione che in Brasile abbia giocato al 20 per cento delle sue potenzialità.
DIEGO COSTA (Spagna): il “traditore” agli occhi del popolo brasiliano ha scelto la Spagna. E col senno di poi, visto il finale di torneo della Seleçao, ha quasi fatto bene. Forse ha pagato l’infortunio patito nel finale di stagione con l’Atlético, ma dell’attaccante devastante apprezzato nella Liga e in Champions non abbiamo visto nemmeno l’ombra.
FRED (Brasile): se i suoi connazionali l’hanno rinominato “l’inutile”, un motivo deve pur esserci. Viene difficile pensare che in tutto il Brasile (oltre duecento milioni di abitanti) non ci sia un centravanti migliore. Lento, impacciato, mai pericoloso in area di rigore. Il crollo del Brasile non è solo colpa sua, ma lui ci mette obiettivamente del suo.
C. RONALDO (Portogallo): arrivato al Mondiale in precarie condizioni fisiche, CR7 ha provato a stringere i denti ed è persino riuscito a disputare una buona prova contro il Ghana, quando però la qualificazione agli ottavi era inevitabilmente compromessa. Con la sua stella non al meglio, il Portogallo aveva la strada segnata.