Ecco, dunque, Germania-Argentina: non la finale più auspicata dalla FIFA, ma incontro certo di gran fascino, senza che si rendano necessari bizantinismi ed esagerazioni di sorta. Una grande sfida tra due favorite della prima ora (la terza e la seconda, per l’esattezza, dietro il Brasile), in un lotto di semifinaliste annunciate, con la sola defezione della Spagna, rimpiazzata dai diretti avversari olandesi. Si tratta, soprattutto, di due importanti tradizioni calcistiche, da sempre protagoniste sul grande palcoscenico iridato.
L’Argentina, giunta al primo titolo mondiale “soltanto” nel 1978 in occasione del discusso campionato casalingo, è la prima finalista della storia, sconfitta nel 1930 dall’Uruguay di Nasazzi e Cea, al termine di una coppa la cui storia abbonda d’irresistibili spunti aneddotici. A partire dall’atto finale, disputato con due palloni diversi per le feroci polemiche che avevano costretto Jules Rimet a una decisione salomonica (da alcuni attribuita all’arbitro belga John Langenus): primo tempo col cuoio argento, seconda metà con quello uruguagio. Sorte malefica volle che, col proprio pallone, gli argentini vincessero 2 a 1, per poi prenderne tre nella ripresa: 4 a 2 finale davanti a un Centenario gremitissimo e arbitro, come da accordi pregressi, scortato all’imbarco per tornare in Europa appena fischiata la fine.
Tra gli argentini in campo, quel 30 luglio, Luisito Monti, campione quattro anni dopo, ma con la maglia italiana. Ed è nell’edizione del ’34 che la Germania s’affaccia per la prima volta sul grande palcoscenico planetario: terzo posto dopo la sconfitta (3-1) con la Cecoslovacchia in semifinale e il successo (3-2) sull’Austria nella prima finalina storicamente accertata (su quella del ’30 aleggia tuttora un certo mistero).
Il primo confronto diretto, però, è del 1958: i campioni in carica, reduci dal miracolo di Berna a danno della Grande Ungheria, vincono 3 a 1 (doppietta di Rahn e gol di Seeler dopo il vantaggio di Corbatta) nell’esordio del gruppo 1, a Malmö. Otto anni più tardi, pareggio a reti bianche in Inghilterra, nella prima fase che vedrà, stavolta, premiati sia gli argentini sia i futuri vicecampioni.
Successivamente, varie amichevoli (tra cui quella della “Coppa d’Oro dei Campioni del Mondo” disputata nel 1981 in Uruguay e ospitante persino l’Olanda due volte finalista sconfitta) per un sostanziale equilibrio, con vittorie bilaterali, in casa e in trasferta.
Si deve, dunque, arrivare al 1986 perché si materializzi quella che, sino a ora e grazie al torneo ancora in corso, è la finale più frequente nella storia del mondiale. Città del Messico, 1 luglio: sotto un sole assassino, Diego Maradona si consacra definitivamente, relegando i germanici per la seconda volta consecutiva all’ingrato ruolo di vicecampioni, quattro anni dopo l’urlo di Tardelli.
La vendetta è piatto da consumare, e basta: Roma, 1990, un Olimpico “antiargentino” per l’eliminazione degli Azzurri plaude al dubbio rigore dell’interista Brehme che riporta in Germania l’agognata coppa. Tra le due finali, altrettante amichevoli: a Buenos Aires (1987) e Berlino Ovest (1988), entrambe con successo ospite per 1 a 0.
Nei quindici anni successivi, altre amichevoli,: due successi argentini (2 a 1 a Miami, 1993; 1 a 0 a Stoccarda, 2002) e un pareggio (2-2) nel febbraio 2005, prima della Confederations Cup di quattro mesi dopo che, con il nostro Rosetti arbitro, replica lo stesso risultato di equilibrio.
Il ritorno mondiale del classico avviene a Berlino, 2006: 1 a 1 contestatissimo, rigori che proiettano i tedeschi in semifinale e rissa finale con Maxi Rodríguez che aggredisce Oliver Bierhoff, dirigente germanico. Gli argentini, alla prima sconfitta della loro storia maturata dagli undici metri, dovrebbero prendersela con Pékerman: dopo il vantaggio (Ayala, 49′), l’attuale CT della Colombia mette Cambiasso per Riquelme (lasciando seduto un giovanissimo Messi), sollecitando il “ritorno” teutonico che, puntuale, avviene con Klose (80′). Poi, supplementari e rigori.
Città del Capo, 3 luglio 2010, ancora ai quarti: l’incrocio sulla carta più affascinante (al pari di Olanda-Brasile) si risolve in goleada tedesca e disfatta sudaca. Müller, Klose (sempre lui!) due volte e Friedrich annientano i sogni di gloria della Selección guidata da Maradona. La partita, per esito numerico, potrebbe far pensare al “disastro di Belo Horizonte” consumato dal Brasile tre sere fa: si tratta, però, di due incontri assai diversi, accomunati solo dalla solidità teutonica. Solidità che in Sudafrica si piegherà al tiqui-taca iberico in semifinale.
Ed eccoci a oggi, con una Germania convincente, quasi apollinea, e un’Argentina tutta nervi, coagulata intorno a un Messi non smagliante, ma, dopo anni di purghe e cocenti delusioni, riscopertasi squadra vera.
Postilla, non secondaria: nel computo degli scontri diretti, riportato dalla FIFA e ripreso quasi ciecamente dai vari organi informativi (ma non da MondoPallone), che mette in conto 20 partite disputate (6 vittorie tedesche, 5 pareggi, 9 successi argentini; 28 reti per parte), mancano, in realtà, due match.
3 luglio 1974, Parkstadion di Gelsenkirchen: nell’ultimo, inutile, incontro del gruppo A del secondo girone (per accedere alle finali, quella vera e quella consolatoria), l’Argentina affronta la Repubblica Democratica Tedesca. Risultato 1 a 1, con gol di Joachim Streich (futura stella del Magdeburgo) e René Houseman. Nello stesso momento, a Dortmund, si gioca Olanda-Brasile, “quella”, ossia una delle più belle partite della storia dei mondiali.
Tre anni dopo, a Buenos Aires, Argentina e DDR si ritrovano: 2 a 0 casalingo, reti di Carrascosa e, ancora, di Houseman.
Se, adesso, parliamo a pieno titolo di Germania, non è tecnicamente corretto omettere o rimuovere quanto realizzato dai fratelli dell’est.
Buona finale a tutti.