Incerta la posizione, sicuro fin d’ora il piazzamento: le quattro squadre che figureranno sugli annali del Mondiale saranno Argentina, Brasile, Germania e Olanda, in provvisorio ordine alfabetico.
La nobiltà del calcio mondiale, al netto di Italia, Inghilterra e Spagna, venute meno malamente nella fase a gironi, e della Francia, capitolata quanto meno ai quarti di finale.
Eppure sono molte le squadre che si erano fatte ammirare, candidandosi a sorprendere le platee, magari nel sogno di ripetere su scala planetaria le imprese europee di Danimarca (1992) e Grecia (2004).
Ma, come nei meccanismi della vita socioeconomica, al momento di tirare le somme è difficile sovvertire le oligarchie cristallizzate, tanto più se poi nemmeno la sorte sembra arridere agli audaci. Nessun “dio delle piccole cose” è sceso in aiuto per spostare un palo, fornire una svista difensiva, arrotondare la mira di un rigore appena un po’ più largo o stretto del dovuto.
Ha cominciato il Messico. Dopo aver dimostrato un gioco corale tonico e a tratti brillante, una buona forma atletica e consapevolezza dei propri mezzi, il faccione rubicondo e meroliano dell’allenatore Miguel Herrera si è dovuto incupire a una manciata di minuti dal termine della sfida con l’Olanda, incassando un pareggio all’87’ e un sorpasso su rigore in pieno recupero, grazie alla tenacia (e stando ad alcuni all’astuzia) di Robben.
Ancora più vicino all’impresa il Cile, che soltanto ai rigori si è arreso ai padroni di casa brasiliani, dopo che una traversa al 120’ aveva strozzato l’urlo di Pinilla e del popolo della Roja.
Figuriamoci poi i rimpianti della Svizzera, per il palo centrato da Džemaili al 120’, letteralmente a due passi dalla porta argentina. Per non parlare della sguaiatezza malandrina del rimbalzo, beffardamente storto sulla caviglia dello sventurato.
Fino all’ultimo istante dei supplementari è durata anche la resistenza di Grecia, Algeria e USA, ma a parte l’onore delle armi, poco è cambiato anche nel loro destino. Eppure, sono arrivati dentro l’area avversaria fino all’ultimo assalto. Nel caso della Grecia, con un destino che alla beffa aggiunge l’ironia, fatale è stato il “rigore”.
E veniamo ai quarti. Certo, Brasile, Germania e Argentina hanno meritato tutto sommato di passare il turno, ma nelle loro vittorie di misura, anche la sorte ha camminato dalla stessa parte della strada: né i tentativi di James Rodriguez su punizione, né quel tiro di Benzema sul finale, né qualche pallone buttato nella mischia dai belgi, sono stati baciati da quella sorte che, quando vuole, sa deviare anche le traiettorie sbilenche, indirizzandole per i pertugi giusti.
Fino alla storia che più aveva sbalordito il mondo calcistico: quella dei “ticos” del Costa Rica. In sede di presentazione, abbiamo sentito i cronisti di note testate giornalistiche aggrapparsi alle pagine di Wikipedia pur di rappresentare qualche tratto del paese e della squadra. Abbiamo imparato che in Costa Rica la gente ha il più alto tasso di felicità del mondo e che da anni hanno abolito l’esercito. Curiosità, “lo sapevate che…”, perché tanto, sul fatto calcistico vero e proprio, c’era poco da aspettarsi. Partita come squadra materasso, utile per molleggiare lo slancio di Inghilterra, Italia e Uruguay a suon di differenza reti, la Costa Rica ha seminato per strada le favorite dei pronostici, con due vittorie ed un pareggio. Nella sfida temperamentale con la Grecia agli ottavi, è riuscita ad aggrapparsi alle parate di Navas, arrivando fino al quarto con l’Olanda. E anche in questo caso, restando imbattuta sino ai rigori. Qualcuno potrebbe facilmente sottolineare come l’Olanda abbia centrato due legni e sia stata spesso sul punto di segnare. Ma ad altri non sarà sfuggita l’occasione capitata ai Ticos a pochi minuti dalla fine. Se fino a quel momento, si può dire che quasi ogni tiro s’era trasformato in gol, il bonus è venuto meno proprio nell’attimo dell’impresa. Senza mai perdere se non ai rigori, il Costa Rica saluta i mondiali.
Le incursioni di Guardado e di Bryan Ruiz, i cross di Holebas, lo stop e tiro al volo di Rodriguez, le giocate di Shaqiri, il talento di Feghouli e la grinta di Medel. Immagini che hanno arricchito la competizione ma che non son serviti a portare fino in fondo le proprie squadre. Nel firmamento del mondiale, le piccole stelle sono rimaste senza cielo. E abbiamo scoperto che anche in Costa Rica piangono.
Ma attenzione, per forza di cose però, ora toccherà ad una delle grandi versare lacrime. Di quelle grandi come una semifinale, stavolta.