Ed è finita così, col Brasile in semifinale. Non un pronostico difficile da azzeccare, eppure lì siamo: i verdeoro hanno sempre vinto o quasi, mediamente convinto, passato ora due turni di eliminazione diretta.
Parliamo di un Brasile, nel dettaglio, mai come stavolta criticato e criticabile, limitato e limitabile ma tant’è: loro sono tra le prime quattro, noi a leccarci le ferite.
Come dire, c’è di meglio: tipo, per esempio, questo Brasile concreto ed “europeo”, fatto di fedelissimi di uno Scolari che sa cosa vuol dire vincere (2002) ma conosce anche il sapore della sconfitta casalinga (Portogallo).
Del resto, se cediamo (per una volta) il passo al romantico che è in noi, è il mondiale dei ricorsi storici, dei sentimenti e dell’amore per il calcio: cinque stelle sulla maglia (fanno cinque mondiali e in caso di vittoria l’Italia sarà lontana), tre o quattro sono i fuoriclasse in rosa, il paese è uno ma è gigantesco e ospita persone che vogliono il titolo, sognano la sesta coppa del mondo e spingono con tutte le loro forze.
E qui veniamo ai ricordi del passato, alle volte in cui la spinta propulsiva di un intero popolo urlante portò discretamente male: a portata della mia generazione, dico 1990 e 1996, dico Italia e Inghilterra, dico Azzurri e Tre Leoni. Perché in fin dei conti è lì che si è scritta la storia, drammatica e dolorosa per i tifosi, di 80mila persone deluse e in lacrime, di paesi ospitanti incapaci di trasformare il sostegno incondizionato in coppa da alzare al cielo, di attese più o meno lunghe eppure ugualmente dolorose.
In particolare, per non aprire ferite ancora sanguinanti e solo parzialmente rimarginate grazie al trionfo del 2006, lasceremo da parte l’Italia e dedicheremo un secondo dei nostri pensieri a Shearer, Adams e Seam, al vecchio Wembley che canta più forte del cantante di turno l’inno nazionale, ai maledetti rigori della semifinale contro la Germania. Era “solo” l’Europeo ma a qualcuno fa malissimo. Come fa malissimo il ricordo di quella semifinale al San Paolo contro l’Argentina o, per la mente di un tedesco, del gol di Grosso e del sigillo di Del Piero in quel di Dortmund: Germania croce e delizia, Germania eterna presenza quando c’è da giocare semifinali (brava la Francia, ma i tedeschi sono un’altra cosa), Germania beffata in casa nell’anno buono.
È insomma curioso adesso, nella semifinale tradizionalmente buccia di banana per chi ospita una grande manifestazione internazionale e ha l'”obbligo” di vincere, a tutti i costi, l’incrocio con la Germania: 8 titoli mondiali in 2 (per non scomodare quelli continentali (11) e un gran pezzo di storia del calcio.
Proprio i tedeschi, che sanno cosa vuol dire cadere in casa, lo scherzetto sanno come si fa.
Chiedete a Hässler, Strunz, Reuter, Ziege, Kuntz e Möller, che il 26 giugno di 18 anni fa rimasero glaciali dal dischetto e della passione dell’Inghilterra intera se ne fregarono, giustamente: se Brasile-Germania termina ai rigori, il pensiero va a quelli là e il resto sarà storia.
E nel caso sarà psicodramma. Scritto, forse, in tedesco: la lingua di chi certi scherzetti sa come si fanno.