A trent’anni dall’arrivo di Diego

Firmò di notte sul cofano di una macchina, all’aeroporto El Prat di Barcellona. Era il 30 giugno del 1984 e poco dopo il Presidente del Napoli Ferlaino depositò il contratto di Diego Armando Maradona, passato dal Barcellona al Napoli per la cifra record di 13 miliardi di lire (attualizzando, con un po’ di retorica, circa 6,6 milioni di euro), al termine di un’estenuante trattativa condotta da Antonio Juliano.
Ferlaino non li aveva quei soldi, come anche in questi giorni ha ripetuto nelle interviste commemorative di rito, ma grazie ad una fidejussione del Banco di Napoli e all’aiuto del mondo politico legato alla DC campana, riuscì a concludere l’affare. Dapprima depositò una busta vuota, poi, dopo la firma di Maradona e la ratifica dei necessari appoggi economici, sostituì con uno stratagemma la busta in Lega.

Andò così, e da allora il calcio italiano cambiò per sempre. Certo, Falcao, Platini, Boniek e Zico già militavano in Serie A, ma l’arrivo del “migliore” rappresentò la pesca del jolly nel mazzo. Per di più, Maradona non andava ad arricchire le tradizionali grandi, ma avrebbe indossato la maglia del Napoli, squadra con uno smisurato numero di tifosi ma che tuttavia da sempre sognava di lottare con Juventus, Milan e Inter per rivendicare di fronte all’Italia tutta il proprio orgoglio popolare.
Per Diego impazzirono tutti, forse oggi non se ne ha la misura. Gli intellettuali del “Te Diegum” e il popolo dei vichi addò nun trase’o mare, pochi giorni dopo erano tutti lì ad affollare il San Paolo per la presentazione di Maradona. Palleggi, tiri e promesse: 80.000 persone e un unico grande sorriso, come una circumvesuviana intorno alla città.

E che se ne parli proprio in questi giorni mondiali, non vi sembri una divagazione. Il 22 giugno 1986, con il gol in undici tocchi siglato all’Inghilterra, Maradona sarebbe salito sul trono mondiale, legando per sempre il suo nome alla competizione. Esattamente un anno dopo, fece la stessa cosa con il popolo napoletano, guidando la squadra verso il primo storico scudetto.
Maradona non fu il campione del Real Madrid o del Barcellona, della Juventus o del Milan, dell’Inter o del Bayern Monaco. Scelse Napoli, e lì raggiunse la vittoria più difficile. E questo, che vi sia simpatico o meno, nessuno glielo potrà mai negare.

Per il calcio italiano, iniziava un periodo aureo durato fino alle soglie del 2000 e anche oltre. Campioni italiani e campioni stranieri convissero a lungo, influenzandosi a vicenda. Seguendo le orme dei più grandi, Maradona in primis. Per referenze formative, citofonare Zola.

Maradona esordì al Bentegodi, contro il Verona di Bagnoli. Fu annullato dal tedesco Briegel, che segnò anche il gol della vittoria scaligera. A fine campionato, il Napoli arrivò solo ottavo, il Verona vinse lo scudetto. Quel Napoli schierava Castellini, Bruscolotti, Boldini, Bagni, Ferrario, De Vecchi, Celestini, Dal Fiume, Caffarelli, Maradona, Bertoni.

Ma Maradona non mollò. Al suo terzo campionato, Maradona raccolse la corona di Re Franceschiello e conquistò un posto sempiterno tra le statuine di San Gregorio Armeno (riconoscimento che in fondo gli valeva quanto un pallone d’oro, visto che il regolamento dell’epoca escludeva gli extraeuropei).
Nell’anno del primo scudetto, il Napoli giocava con Garella, Bruscolotti, Ferrara, Bagni, Ferrario, Renica, Carnevale, De Napoli, Giordano, Maradona, Romano.

Il gol alla Juventus con una punizione di seconda da posizione impossibile dentro l’area, il pallonetto a Nando Orsi, il tuffo rasoterra contro la Sampdoria, quest’ultimo proprio nell’anno del primo scudetto. Numeri che hanno disegnato la storia del pallone, cambiando per sempre l’immaginario della giocata calcistica.

Il resto della storia è nota, l’ascesa e la caduta di Maradona, le liti con la Fifa, l’esilio cubano e la rinascita. Ma siamo già tornati al regime della quotidianità, quando gli scudetti avevano ripreso la via principale di Torino e Milano. L’epifania era finita, le feste già se n’erano andate via.

A dirla tutta, dopo trent’anni, sono stati annunciati centinaia di più o meno improbabili eredi di Maradona: da Latorre ad Ortega, da Gallardo a Galletti, da D’Alessandro a Saviola, Aimar e Tevez, non c’è anno che non ne spunti uno, magari per un semestre e via. Fino all’arrivo di Messi, pretendente finalmente titolato.

Eppure, ogni appassionato conserva sempre nel proprio intimo di tifoso, la segreta speranza di leggere l’annuncio dato dalla propria squadra: “Acquistato a sorpresa, il nuovo Maradona, un altro figlio segreto, erede designato”. E giù palleggi con le arance, che tutti vengano a vedere.

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Paolo Chichierchia