SuperMario Bluff

Doveva essere il crack italiano, la risposta tricolore a Neymar, doveva essere il suo Mondiale. Le premesse c’erano tutte, il ct aveva puntato su di lui, mettendo il presunto top player italiano come unica punta in questo nuovo modulo nato poco prima dell’avventura brasiliana, che investiva di responsabilità la punta rossonera.

Invece, Mario esce da Brasile 2014 con le ossa rotte e più solo che mai. Si è rivelato il solito Balotelli che nelle tre partite ha mostrato quasi il peggio del suo repertorio. Nel Mondiale della sua consacrazione, in cui a parole non si era nascosto caricandosi in groppa l’Italia e prendendosi le sue responsabilità, il ragazzo non ha saputo passare dalle parole ai fatti. Un gol in una partita per renderla più che sufficiente, due cartellini gialli, tanti falli e proteste, zero iniziative e tanto nulla. Rabbia, delusione, impotenza, queste le sensazioni di SuperMario in questa manifestazione, che lo ha visto sciogliersi sotto le luci della ribalta che dovevano invece celebrarlo.

Nella sua carriera ancora breve, tanti gli allenatori che hanno avuto problemi con lui: Mancini, Mourinho, Allegri, Seedorf, Prandelli. Troppi per non porsi delle domande, ma il ragazzo troppo pieno di sé continua sicuro per la sua strada. Se non bastassero gli allenatori a rincarare la dose su questo giocatore, ci ha pensato in passato anche qualche compagno di squadra, fino a qualche giorno fa sempre con parole garbate e velate. Nei giorni scorsi, però, i senatori del gruppo azzurro in Brasile non hanno perso l’occasione invece per andarci pesante. De Rossi e Buffon, dopo l’inattesa debacle, hanno voluto esprimere il loro pensiero e, forse, quello di buona parte dello spogliatoio:

Buffon: “Spesso si creano fenomeni che poi non esistono. Chi va in campo poi deve fare“; De Rossi: “…ripartire dagli uomini veri. Non dalle figurine o dai personaggi: questi non servono alla Nazionale.

Dov’è finito quel ragazzo acquistato nel 2006 dall’Inter a 16 anni? Mario sembrava un predestinato. Con la Primavera interista vinse il campionato 2006-2007 e nel 2008 trascinò la squadra Primavera alla vittoria del Torneo di Viareggio, realizzando 7 gol in 6 partite. Prestazioni importanti che convinsero Roberto Mancini, nella stagione 2007-2008, ad aggregarlo alla prima squadra. A 17 anni, così, esordì in Serie A e la sua fama iniziò a decollare; poco dopo, segnò le sue prime reti ufficiali con la maglia nerazzurra, realizzando una doppietta contro la Reggina negli ottavi della Coppa Italia. Conquistò poi i tifosi nerazzurri entrando dritto nei loro cuori con un’altra doppietta, stavolta alla Juventus, nel ritorno dei quarti di finale della stessa coppa. Nell’anno del suo esordio, segnava contro l’Atalanta il suo primo gol in Serie A. Nelle restanti partite di campionato, Balotelli giocò spesso da titolare e realizzò altre 2 reti, risultando importante nel vittoria dello scudetto, il primo con la maglia nerazzurra.

Da lì forse qualcosa è cambiato. Certo sono arrivati altri risultati importanti nell’Inter del Triplete e nel Manchester City di Mancini campione d’Inghilterra. Con i Citizens anche una Coppa d’Inghilterra e una Community Shield, oltre a un ottimo Europeo con l’Italia. Tuttavia, in questi anni Mario sembra aver cominciato una lenta involuzione personale,  attraverso prestazioni altalenanti, mescolate a un carattere sempre più difficile e a uno stile di gioco sempre più individuale.

Nelle sue prime uscite, il giovane ragazzo metteva in campo corsa, tecnica, numeri e giocate. Oggi le sue partite si ricordano spesso per i cartellini, le proteste o i battibecchi con avversari e pubblico, anche qualche eurogol che, tuttavia, sembra ormai un evento raro. Da umile e talentuoso ragazzo, che in punta di piedi si faceva spazio tra i campioni nerazzurri, a Bad Boy, prima donna in campo e fuori, irriverente e indisponente, con atteggiamenti discutibili nel rettangolo verde e nella sua vita sempre meno privata.

Eccessivo e provocante, conosciuto e per questo punzecchiato dai difensori, Mario ormai non riesce più a concentrarsi come dovrebbe e si lascia portare dagli avversari sul piano del nervosismo, perdendo la lucidità necessaria dei veri campioni.

Non bastano più però le lacrime di Natal per assolvere le carenze caratteriali. Tifosi, mister, addetti ai lavori hanno avuto troppa pazienza verso di lui, mai ripagata da un atleta che ormai deve farsi un esame di coscienza e prendere atto di non essere affatto un campione. Mario è un buon giocatore con un buon tiro e un fisico straordinario, ma che gioca per se stesso, senza fare squadra e senza essere leader del gruppo, infarcendo il tutto con una vita privata che riempie di soddisfazione il mondo del gossip.

Finiremo quindi ad aspettarlo ancora? A illuderci di aspettative ancora per questo presunto fenomeno? La storia di Cassano non ci ha insegnato nulla, restiamo recidivi nell’individuare campioni in giovani spocchiosi e presuntuosi che hanno un talento senza saperlo gestire e che non sanno realizzarsi in nessuna realtà. Ci siamo già dimenticati quindi di Del Piero, Maldini e Zanetti? Spero proprio di no, il fallimento di Balotelli è anche il nostro, che ci identifichiamo in simili Bluff colossali.

 

Published by
Francesco Filippetto